B. Bruschi, A. Perissinotto, Didattica a distanza. Com’è, come potrebbe essere, Laterza, 2020, pp. VII-164
Francesca Marinelli
Professoressa associata di Diritto del lavoro
Università degli Studi di Milano Statale
Lo scrittore Stewart Brand (celebre per aver coniato il termine “personal computer”) disse un giorno una grande verità: «Puoi provare a cambiare la testa della gente, ma stai solo perdendo tempo. Cambia gli strumenti che hanno in mano, e cambierai il mondo».
Ed è proprio ad uno strumento nuovo: la didattica a distanza, che Bruschi (Professore ordinario di Didattica e pedagogia speciale nella Università di Torino) e Perissinotto (Professore di Storytelling nel medesimo Ateneo) dedicano attenzione nel libro proposto nella Rubrica di questo mese.
A dire il vero la DAD non è uno strumento del tutto nuovo (basti pensare che la didattica per corrispondenza è nata nel 1873) ma, come noto, è solo con la pandemia che essa ha finito per assurgere a strumento principe anche nell’ambito della formazione universitaria.
La tesi centrale del libro è che sia possibile fare ottima didattica anche a distanza. Se è vero, infatti, che «gli ambienti di apprendimento integrato non possono darci il valore dello stare insieme», è vero anche che ciò che veicola la conoscenza non è lo spazio, quanto, piuttosto, l’attenzione.
Se dunque la didattica a distanza – che offre, come a tutti noto, indubbi vantaggi – in realtà “non è nemica di quella in aula”, occorre procedere in due direzioni.
In primis, pare indispensabile cominciare a sviluppare nuove tecniche di insegnamento in grado di stimolare l’attenzione (posto che «il più grave errore che possiamo commettere avvicinandoci alla didattica a distanza è di pensare che, in fondo, essa sia identica a quella in aula, solo con una webcam e uno schermo di mezzo»).
In secundis, occorre iniziare a pensare alla didattica a distanza non più solo come ad una misura emergenziale volta al contenimento della pandemia, quanto, piuttosto, come ad uno strumento prezioso in grado di affiancare/integrare stabilmente la didattica tradizionale.
Come dire: se è vero che l’arte è lo specchio della società e che insegnare è un’arte, allora è vero anche che l’insegnamento (compreso quello universitario) non può sottrarsi ad un confronto costante (seppur faticoso) con la realtà in cui opera.