G. Sartori, Homo videns, Laterza,1997 (ristampa 2021), pp. XV-166

Francesca Marinelli

Professoressa associata di Diritto del lavoro
Università degli Studi di Milano Statale

Pur non essendo né recente, né incentrato sulla didattica, nondimeno il libro in commento appare fondamentale dal punto di vista pedagogico. Si tratta infatti di una riflessione lucida su come il progresso tecnologico stia cambiando il modo di apprendere dell’essere umano.
La tesi dell’autore è che se, fino all’avvento della televisione, l’uomo si (in)formava attraverso il linguaggio – principalmente lettura e ascolto –, l’introduzione dello schermo, in tutte le sue evoluzioni, ha fornito agli uomini un nuovo modo di apprendere: guardando. Da qui – scherza Sartori – il passaggio dall’homo sapiens all’homo videns.

 

 

Si tratta di una metamorfosi indolore? Per l’Autore no di certo.

Questa egemonia crescente del ruolo delle immagini sulle parole (e pertanto sui concetti) sta infatti determinando un inevitabile impoverimento cognitivo collettivo posto che, “mentre le parole sono un simbolo, l’immagine si vede e basta” (non a caso, ricorda l’Autore, i popoli avanzati sono definiti tali solo quando acquisiscono un linguaggio astratto che consente una costruzione logica del pensiero). Da qui la denuncia di Sartori secondo cui “il vedere sta atrofizzando il capire”. L’importanza di questa riflessione dal punto di vista pedagogico è chiara. Se è vero  infatti che oggi, al fine di facilitare l’apprendimento, gli insegnanti si avvalgono sempre più spesso degli ipertesti (strutturati per affiancare al testo scritto suoni, colori, figure e animazioni), occorre cionondimeno ricordare che tale strumento non può e non deve sostituire in toto il libro tradizionale e ciò per una ragione assai semplice: mentre i libri, insegnandoci la consecutio, ci inducono al ragionamento, gli ipertesti, mancando di ordine logico, finiscono inevitabilmente per amplificare il caos.