Cecilia Blengino, Svelare il diritto. La clinica legale come pratica riflessiva, Torino, Giappichelli, 2023, pp. 1-153

Mariapaola Aimo
Professoressa ordinaria di Diritto del lavoro, Università degli Studi di Torino
Il titolo e il sottotitolo di questo libro, Svelare il diritto. La clinica legale come pratica riflessiva, ci fanno subito comprendere che l’autrice, Cecilia Blengino, intende concentrare la sua attenzione sulla capacità dell’educazione clinico legale di “guidare un salto paradigmatico nella formazione del giurista” (p. 3) attraverso la promozione del pensiero riflessivo che, grazie all’integrazione continua tra azione pratica e concettualizzazione teorica, si rivela in grado di formare studenti riflessivi che possano diventare, utilizzando l’espressione di Donald Schon, “professionisti riflessivi” (Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale, Napoli, 1993).
Riprendendo il pensiero di John Dewey, secondo cui l’apprendimento esperienziale non discende in modo diretto dall’esperienza, ma dalla capacità di rielaborarla (Democrazia e educazione, Milano [1916], 2004), l’autrice sottolinea, sin dalle pagine introduttive del suo libro, che il ragionamento giuridico implica sempre il ricorso ad elementi intuitivi, sensoriali ed emozionali che si affiancano costantemente alla razionalità tecnica e che la rielaborazione di tali elementi e la loro integrazione nel pensiero riflessivo “rendono l’apprendimento generato dalla clinica legale un apprendimento trasformativo” (p. 4).

Il volume si compone di tre capitoli, il primo dei quali induce il lettore a ragionare su quale sia oggi un buon modello di formazione giuridica, alla luce di concezioni ispirate al pragmatismo pedagogico che propongono l’impiego di diversi metodi didattici “oltre l’aula”.
Tra questi spicca senz’altro quello clinico legale, attraverso cui, secondo la definizione dall’European Network for Clinical Legal Education, si perseguono simultaneamente obiettivi di apprendimento esperienziale e di intervento sociale (del metodo clinico la rubrica “Orizzonti della didattica” ha già dato conto nella recensione dell’interessante volume curato da M. D’Onghia e V. Pasquarella, Didattica, law clinic, giustizia sociale e territorio, Bari, 2022). In questa prospettiva la clinica legale costituisce un osservatorio sul diritto in azione che da un lato permette a studenti e studentesse di constatare che “il diritto vivente viene incessantemente prodotto da una variegata pluralità di attori sociali, giuridici e non giuridici” (p. 36), sulla base di processi cognitivi complessi, e dall’altro fa comprendere loro che “il diritto, prima ancora di riguardare casi e tecnicismi, ha a che fare con le persone” (p. 31).
Nel secondo capitolo, sulla base delle suddette premesse, l’autrice approfondisce il tema del pensiero riflessivo nell’apprendimento esperienziale, e in particolare nella formazione giuridica, sottolineando che la clinica legale intende formare uno studente riflessivo, aiutandolo a “riflettere intenzionalmente e sistematicamente sulle azioni proprie e altrui”, e al contempo creare un docente riflessivo, che, nell’esercitare il ruolo di supervisore della pratica riflessiva dei suoi studenti, “può fare ricerca empirica sulle proprie pratiche di insegnamento, su sé stesso e sul fenomeno giuridico che costituisce l’oggetto del suo intervento formativo” (p. 73 ss.). L’autrice individua nel “diario riflessivo” (o diario etnosociologico) “lo strumento attraverso cui pratica riflessiva e supervisione vengono esercitate nel modo più profondo e sistematico” (p. 78) e che ha la funzione “comunicativa” di socializzare e condividere i relativi contenuti all’interno della comunità di pratica.
È nel terzo, e ultimo, capitolo che l’autrice, mettendo a frutto la sua esperienza di docenza più che decennale all’interno della Clinica legale carcere, diritti e vulnerabilità sociale (attiva, con diverse denominazioni, nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino dal 2011), racconta più nel dettaglio la capacità trasformativa della pratica riflessiva nell’ambito dei processi di apprendimento del diritto: e lo fa grazie alle voci (o meglio alle “penne”) dei suoi studenti, estratte da centinaia di diari riflessivi raccolti negli anni. Come viene ben sottolineato, l’intento dell’autrice, al di là delle specificità delle attività svolte dai suoi studenti, è “riflettere sui risvolti metodologici della pratica riflessiva come strumento trasversale, il cui utilizzo si presta ad essere promosso in ogni contesto ed ambito tematico che veda coinvolta la formazione clinico legale” (p. 93). L’ingresso nei luoghi in cui il diritto viene creato e l’incontro con le persone in carne e ossa che lo popolano (nel caso qui considerato le “corsie” sono state gli uffici della Procura della Repubblica nel corso di un’attività di analisi di fascicoli penali relativi a reati di tratta, sfruttamento e riduzione in schiavitù, le udienze in Tribunale nel corso di un’attività di affiancamento ai giudici nella valutazione dei ricorsi dei provvedimenti di diniego del riconoscimento della protezione internazionale e infine il contesto carcerario) hanno rappresentato per gli studenti clinici l’occasione per un apprendimento riflessivo, che si è appunto sviluppato attraverso il ricorso al diario etnosociologico. La scrittura del diario da parte degli studenti – seguita ad ogni attività pratica e concretizzatasi in un’elaborazione strutturata delle riflessioni sulla propria esperienza, separando le componenti descrittive da quelle sui vissuti emozionali e dalle valutazioni attribuite ai fatti accaduti ed esplicitando le proprie riflessioni conclusive e la pianificazione delle azioni future – ha favorito in concreto “la riflessione nel corso dell’azione, ampliando le capacità di osservazione del carattere multidimensionale dei problemi, affinando abilità analitiche e sviluppando un approccio teso alla risoluzione dei problemi” (p. 92). La lettura dei numerosi estratti dai diari riflessivi, accuratamente selezionati e riportati dall’autrice nel capitolo terzo, permette di toccare con mano l’arricchimento che questa pratica riflessiva produce sull’apprendimento del fenomeno giuridico e l’importanza della stessa nel percorso di formazione di operatori del diritto “capaci di attraversare le complessità della postmodernità, ovvero capaci di interagire con i contesti sociali, culturali, politici, economici e psicologici entro i quali i testi giuridici assumono significato” (p. 136).
Da ‘docente riflessiva’ qual è, Cecilia Blengino riesce in questo bel libro a mettere nero su bianco il valore dell’esperienza clinica, traendo in prima persona dal processo collettivo delle sue cliniche una preziosa opportunità di apprendimento trasformativo.