In ricordo di Monica Mc Britton, giuslavorista di due mondi

Pubblichiamo un breve ricordo di Monica Mc Britton, affidato a Marzia Barbera in quanto Presidente di LLC e in rappresentanza di tutta l’Associazione, in occasione dello svolgimento, il 13 maggio 2025, del secondo webinar dedicato al ruolo dei Comitati Unici di Garanzia di Ateneo.

Monica risultava fra le relatrici del webinar, grazie al ruolo attivo svolto da tempo nell’ambito delle politiche di eguaglianza di genere, e abbiamo voluto cogliere questa prima occasione per onorarne la memoria.

Monica è stata una stimata componente della comunità giuslavoristica, socia da tempo di LLC, amica di molti e molte di noi, persona di grande umanità e generosità. Scomparsa troppo presto, mancherà molto a tutta la nostra Comunità.

McBritton

In ricordo di Monica McBritton, giuslavorista di due mondi

 

Monica McBritton avrebbe dovuto essere una delle relatrici di questo convegno, dedicato al tema dei Comitati Unici di garanzia presenti nel settore dell’Università. La sorte ha deciso diversamente e così il suo nome figura adesso in memoriam nella locandina che annuncia l’evento. Non si riesce a sfuggire a una sensazione di turbamento pensando a quanto sono precarie le vicende e i progetti di noi umani. E non si riesce a sfuggire a un sentimento di tristezza profonda avvertendo quanto pesa la mancanza di una persona amica a tante e tanti di noi. Tuttavia, mancanza non vuol dire non presenza. Monica è presente in molti dei nostri pensieri e in molte delle cose di cui parleremo oggi.

Quando le organizzatrici e gli organizzatori di questo convegno mi hanno chiesto ricordare Monica sono andata a cercare il suo curriculum sul sito dell’Università in cui lavorava. Non ricordavo bene l’anno in cui era arrivata in Italia dal Brasile. È successo nel 1982, ho letto, quando vinse, a due anni dalla laurea conseguita a San Paolo, una borsa di studio erogata dal Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Italiana per frequentare un corso di perfezionamento in diritto del lavoro. Si era poi diplomata alla Scuola di Perfezionamento in Diritto del lavoro e della previdenza sociale dell’Università di Bari nel 1985, con il massimo dei voti e la lode della Commissione e con una tesi dal titolo: L’organizzazione sindacale nei sistemi corporativi: il caso italiano e il caso brasiliano a confronto.

Nel curriculum, subito dopo, si legge che nel 1991 conseguì, presso l’Università di Bari, il titolo di Dottore di ricerca in Diritto del lavoro con una tesi dal titolo: Organizzazione di impresa e azione sindacale. In qualche altra riga ci vien detto che si è occupata di patti di sociali di genere e che è stata componente della Consulta regionale per l’integrazione degli immigrati della Regione Puglia, e leggiamo qualcosa dei suoi ultimi progetti di ricerca. Infine, siamo informati del fatto che dal 2019 è diventata professoressa associata.

È tutto.

Il curriculum lo ha scritto Monica. Si potrebbe ritenere che sia così stringato perché di una cosa si può essere certi: Monica non amava né l’ostentazione né le persone che ostentano. E, dunque, non avrebbe mai pensato di usare toni trionfalistici per presentare sé stessa.

Ma io credo che la ragione di tanta brevità sia un’altra, descritta così bene in una poesia di Wislawa Szymborska, e cioè che i CV, per quanto lunghi e ben fatti, non ci restituiscono molto di come era fatta una persona.

Scrive Wislawa Szymborska che in un CV

Fatti concisi e ben scelti sono d’obbligo.
I paesaggi sono sostituiti dagli indirizzi,
i ricordi incerti lasciano il posto a date inamovibili.

Chi ti conosce conta più di chi conosci.
Viaggi solo se effettuati all’estero.
Appartenenze a cosa ma senza perché.
Onori, ma non come sono stati guadagnati.

Scrivi come se non avessi mai parlato con te stesso
e ti fossi sempre tenuto a distanza di braccio.

Tralascia in silenzio, i tuoi cani, gatti, uccelli,
ricordi polverosi, amici e sogni.

Prezzo, non valore,
e titolo, non ciò che è dentro.
La sua taglia di scarpe, non dove sta andando,
quello che fai passare per te stesso.

Il fatto è, però, che a Monica non interessava far passare sé stessa per qualcun’altra e che non aveva nessuna intenzione di tralasciare cani, gatti, uccelli, ricordi, amici e sogni presenti nella sua vita. E dunque andava bene che il CV fosse quanto più stringato possibile. Le occasioni per parlare di più e più in profondità di sé stessa non mancavano, perché era un essere molto sociale.

Per esempio, di quell’episodio iniziale della sua vita in Italia, raccontato in un paio di righe nel CV (la vincita quasi casuale dii una borsa di studio per frequentare un corso di perfezionamento di diritto del lavoro) mi ha parlato a lungo l’ultima volta che ci siamo viste, a Bari, a novembre dello scorso anno, quando venne a trovarmi in albergo per salutarci e chiacchierare un po’ in tranquillità, prima che iniziasse il convegno annuale di LLC.

Parlammo di come era il Brasile della dittatura di allora, del perché scelse proprio l’Italia e proprio Bari per un’esperienza del genere, delle ragioni della scelta del tema, di chi incontrò all’inizio del suo soggiorno barese e poi in seguito. E ricordo anche quanto parlammo a lungo del suo essere vissuta sempre fra due mondi, di come fosse felice che anche i suoi figli sentissero questa doppia appartenenza, di come le sarebbe piaciuto organizzare insieme un incontro fra giuslavoristi italiani e brasiliani (spero che riusciremo a realizzare questa idea).

Ricordo bene anche i racconti che ci facemmo delle molte volte che ci eravamo viste, lei e io. Da quei primi incontri durante eventi accademici, dove non potevi non notare quella ragazza bruna, dal bellissimo sorriso, dalle abitudini bizzarre, come il fumare senza alcun imbarazzo una pipa, aggeggio tipicamente maschile, in consessi allora anch’essi tipicamente maschili, agli ultimi, affettuosi incontri, in cui la partecipazione a seminari e convegni di comune interesse diventava l’occasione per chiacchierare di molto altro.

Ma forse uno dei ricordi più belli che ho di lei e di Gianni è di quella volta che, del tutto inaspettatamente, li vidi spuntare in Via San Faustino, a Brescia, che mi venivano incontro sorridenti, camminando verso dii me dall’altra parte della strada, contenti della mia faccia sorpresa e del ritrovarci lì e del poter stare un po’ insieme. Erano venuti a partecipare solo da ascoltatori a un convegno che avevamo organizzato noi bresciani. Avevano viaggiato fin da Bari solo perché il tema (non mi ricordo più neanche quale fosse) li interessava, e per amicizia.

Questo piccolo episodio dice molto del modo in cui Monica intendeva il suo lavoro e i rapporti umani. Quello che contava era la passione per un argomento e il coltivare rapporti di lavoro e amicizia fondati su interessi comuni. Non necessariamente su idee comuni. Per quanto Monica attribuisse molta importanza alla politica e all’impegno politico e concepisse anche il suo lavoro come una sorta di militanza politica, o forse sarebbe meglio dire di militanza civile, questa sua tendenza a schierarsi, a non coltivare posizioni neutre, non si è mai risolta in settarismo e chiusura. All’esito di una discussione che avemmo tempo fa su una certa questione di politica accademica, Monica rimase delle sue idee, ma non rimase sulle sue posizioni quanto al da farsi, perché era pronta ad accettare le ragioni degli altri e ad adattarvisi, soprattutto se le sembrava che questo potesse giovare a un bene comune.

Per chiudere questo breve ricordo (un ricordo che ha un tono personale, forse troppo, ma è quasi inevitabile che sia così, per la capacità di chi viene ricordata di coltivare rapporti profondi e duraturi) vorrei dire che, oltre a essere una persona di straordinarie qualità umane, Monica era una giuslavorista profondamente innamorata del suo mestiere, non ultimo perché esso le consentiva di stare dalla parte dei meno forti, dei fragili, dei perdenti, per i quali aveva un trasporto e un senso di vicinanza spontanei ma coltivati anche proprio attraverso quel mestiere.

È per questo che vorrei concludere dicendo che il suo lavoro di giurista ci ricorda la vocazione umanista e profondamente trasformativa della nostra materia – il diritto del la voro – che non è una materia che guarda al passato, che non è nata per rassicurare e conservare quel che già esiste ma per far nascere inquietudini e dubbi sulla realtà del lavorare per altri e per correggere gli effetti delle diseguaglianze sociali legate a quel lavorare.

 

Marzia Barbera

13 maggio 2025