L’Ufficio per il Processo: quale impatto sulla cultura della giurisdizione? Intervista di Francesco Perrone ad Antonella Ciriello

Antonella Ciriello

Componente del Comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura e Consigliera per le politiche di innovazione amministrativa della Ministra della Giustizia

Francesco Perrone

Giudice del Tribunale di Bologna

13 luglio 2022

Il progetto di Labour Law Community sull’Ufficio del Processo

Quali sono i fattori d’innesco che, storicamente, nel sistema giudiziario italiano hanno dato origine al problema dell’irragionevole durata del processo?

È una domanda complessa. Il principio della ragionevole durata del processo, oltre che di tutela dei singoli, è coessenziale al buon funzionamento della giustizia, pilastro dell’equilibrio democratico, poiché, come affermato dalla CEDU, una prolungata situazione di incertezza si traduce in un diniego di giustizia[1]

L’equilibrio tra un processo ragionevolmente celere, ma anche in grado di fornire una risposta oggettivamente e tecnicamente “giusta”, è, dunque, la vera sfida per le democrazie contemporanee.

In Italia, tuttavia, le ragioni della innegabile problematica di lentezza dei processi sono molteplici e non tutte patologiche. 

Nel nostro paese tutti i diritti ricevono uguale tutela, ci si può rivolgere al giudice anche per controversie di basso valore, e non pare che, sino ad oggi, i tentativi di incentivare i metodi alternativi alla giurisdizione per la composizione delle liti abbiano riscosso grande successo, poiché si tende, sempre e comunque, a privilegiare la strada del giudice professionale. In particolare, quanto alla macchina della giustizia l’attenzione è puntata su annosi difetti organizzativi, quali le indubbie carenze nel reclutamento, gestione e distribuzione delle risorse umane e materiali sul territorio[2], la necessità di potenziare il numero di magistrati, particolarmente in talune materie e in alcune aree del paese[3],  e sulla necessità di modernizzare e riqualificare i processi lavorativi e i procedimenti giurisdizionali.

Accanto a tali fenomeni vanno considerati altri fattori, tra cui quello tutto italiano dell’abuso del processo il quale, in specifici settori e particolari localizzazioni regionali nel Paese, produce un proliferare incontrollato di domande (si pensi alla materia previdenziale e assistenziale in talune sedi giudiziarie). Meritano, ancora, di essere considerate l’ipertrofia e la complessità normativa che caratterizzano il nostro ordinamento di civil law nonché il dato, incontestabile, dell’elevatissimo numero dei professionisti iscritti all’albo dei difensori nei vari fori nazionali e in quello di legittimità.

Ciò produce una domanda di giustizia certamente elevata e ne rende la gestione elefantiaca, anche per le note complessità organizzative della pubblica amministrazione nel suo insieme. 

L’esigenza di rendere più moderna ed efficiente la perfomance degli impiegati pubblici è, infatti, comunemente avvertita, senza esclusioni, anche per i lavoratori della giustizia, e riguarda non solo il personale amministrativo, ma anche i magistrati, pur con le guarentigie che la Costituzione prevede per il potere giudiziario, in primis il ruolo del Consiglio Superiore della Magistratura, perno dell’equilibrio democratico. Tuttavia, proprio il dualismo voluto dalla Costituzione, che ripartisce la gestione del sistema giudiziario tra Ministero della Giustizia e Consiglio Superiore della Magistratura, impone una particolare attenzione alla suddivisione dei compiti e rende più complessa la macchina organizzativa della giustizia. 

In questo complesso contesto, anche la legge n. 89/2001 (cd. Legge Pinto), sull’equa riparazione del danno derivato dall’irragionevole durata del processo, che si prefiggeva lo scopo di incentivare misure di accelerazione dei giudizi attraverso la previsione di un meccanismo di equa riparazione nei casi di violazione del termine ragionevole del processo, non ha ottenuto il risultato sperato (sotto tale specifico profilo)[4], comportando, come è noto pesanti oneri finanziari per lo stato, e appesantendo con un effetto boomerang, il contenzioso delle Corti di appello[5]. Oggi, nel quadro del PNRR,per la materia giudiziaria sono fissati obiettivi precisi, con particolare riferimento alla riduzione dell’arretrato e alla durata dei procedimenti, per raggiungere i quali è stata implementata una serie di misure organizzative (assunzioni di personale amministrativo, informatico, digitalizzazione della giustizia, realizzazione dell’ufficio del processo ecc.) sulla cui efficacia si punta l’attenzione, e la preoccupazione, di tutti gli operatori del settore.

Come può essere affrontato il problema dell’organizzazione della giustizia, e della migliore distribuzione delle risorse per incidere sulla irragionevole durata?

L’idea che fa da sfondo alle riforme in corso, a mio avviso profondamente vera, è che, ogni problema organizzativo, compresa la lentezza della risposta giurisdizionale, deve essere vinto partendo dalla conoscenza del fenomeno da organizzare, presupposto indispensabile di ogni cambiamento consapevole. L’aspetto forse più interessante, dunque, in questa ottica, del  processo di digitalizzazione della giustizia, messo in atto nell’ambito del PNRR[6],  è proprio quello di favorire la conoscenza capillare dei dati giudiziari, così da poter elaborare una risposta efficace all’annosa questione, e quindi favorire una razionalizzazione consapevole delle risorse.

Già da anni, del resto, si è fatta strada l’idea che la raccolta di dati consapevole e organizzata debba essere posta a base di ogni valutazione di carattere gestionale: quelle di tipo prognostico svolte nell’ambito dei programmi di gestione di cui all’art. 37 d.l. n. 98 del 2011, convertito con modificazioni dalla L. 15 luglio 2011, n. 111 e poste a base dei progetti tabellari e valutate nei documenti organizzativi generali (D.O.G.) dei singoli uffici; quelle proprie del Ministero della giustizia utilizzate nelle proiezioni statistiche necessarie a livello di macro organizzazione per distribuire l’organico di magistratura e amministrativo, le risorse necessarie a governare la giustizia e necessarie allo svolgimento delle indagini ispettive, le attività proprie dell’autogoverno in relazione all’elaborazione dei programmi di gestione e delle valutazioni di professionalità; le modalità di presentazione del nostro sistema giudiziario nel contesto europeo che studia, sempre sulla base dei dati forniti dallo Stato membro, l’efficienza del sistema tramite organo a ciò predisposto (CEPEJ, The European Commission for the Efficiency of Justice). 

Proprio tale meccanismo di analisi statistica è ora al centro della scena nell’ambito del disegno degli obiettivi collegati al PNRR, e impone di fare i conti con il passato, accelerando un processo in corso, ma ancora non completato nella giurisdizione ordinaria.

Che rapporto esiste, se esiste, tra riforma dell’organizzazione giudiziaria e riforma del processo ai fini della costruzione di una strategia organica di riduzione dei tempi processuali?

E’ un rapporto logico, che poggia sull’idea, che già da anni si è fatta strada, che l’accelerazione dei processi, coniugata con l’esigenza di tutelare i diritti e bilanciata con l’esigenza di assicurare un tempo di deliberazione ragionevole, sia da imprimere con interventi variegati. Accanto alla intuibile soluzione consistente nel potenziamento delle risorse a disposizione del magistrato, si annoverano ulteriori rimedi quali l’affinamento dei meccanismi di controllo sull’operato dei magistrati diretti a scovare eventuali sacche d’inefficienza, la particolare attenzione da riservare alla distribuzione delle risorse (vedi l’idea della flessibilizzazione delle piante organiche) ma anche e soprattutto una riforma semplificatrice delle norme processuali, con risparmio di tempi ed energia da parte degli operatori del diritto (magistrati, avvocati, personale amministrativo, consulenti ed esperti che collaborano con la giustizia in tutte le vesti), che assicuri al contempo trasparenza e accessibilità agli utenti.

In particolare, poi  è emersa, da sempre più anni, l’idea che l’atto giudiziario, ossia l’atto dell’avvocato e quello del giudice, debba essere sintetico e chiaro, scevro da digressioni e sfoggi culturali, affinchè il contenuto sia corrispondente allo scopo: la richiesta di una risposta giudiziaria nel rispetto dei principi del giusto processo.

Tale ultimo aspetto, in particolare, trova la sua espressione più recente nella disposizione della legge 26 novembre 2021, n. 206, Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché di esecuzione forzata. Tale delega, proprio nel nome dell’efficienza, dispone di  “d) prevedere che i provvedimenti del giudice e gli atti del processo per i quali la legge non richiede forme determinate possano essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo, nel rispetto dei principi di chiarezza e sinteticità, stabilendo che sia assicurata la strutturazione di campi necessari all’inserimento delle informazioni nei registri del processo, nel rispetto dei criteri e dei limiti stabiliti con decreto adottato dal Ministro della giustizia, sentiti il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio nazionale forense”. Al tempo stesso però si dispone di “e) prevedere il divieto di sanzioni sulla validità degli atti per il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma, sui limiti e sullo schema informatico dell’atto, quando questo ha comunque raggiunto lo scopo, e che della violazione delle specifiche tecniche, o dei criteri e limiti redazionali, si possa tener conto nella disciplina delle spese”. 

Le due disposizioni esprimono, evidentemente, la convinzione che ogni attività decisoria scaturente dall’esercizio della funzione giurisdizionale debba generarsi sin dall’origine in forma chiara, schematica, comprensibile. Ciò anche al fine di poter essere “digerita” da sistemi tecnologici, quale fonte di informazioni utili non solo a tutti coloro che interverranno successivamente nel processo giudiziario, ma anche per l’elaborazione di analisi statistiche generali e per il sistema documentale unico (che renderà più accessibile e conoscibile la giurisprudenza, e consapevoli le scelte di politica giudiziaria).

L’intera riforma del processo civile risponde all’esigenza di favorire l’efficienza lavorando su molteplici fronti, ivi compreso quello della digitalizzazione, con tutti i cambiamenti processuali necessari.

È evidente, infatti, che un processo moderno, basato su atti e documenti che circolano in formato digitale, nativo o frutto di copia tratta da documenti nati analogici, non può essere celebrato come previsto da norme scritte negli anni ‘40 (Codice di procedura civile) e nell’89 (Codice di procedura penale).

Quelle norme, pensate per prassi diverse, cartacee, appunto, necessariamente devono essere rivisitate, adeguate ai tempi. Su questo aspetto il processo di innovazione è iniziato molti anni fa, e si è concretizzato a partire dagli anni 2000 quando, principalmente con la cd. Legge Bassanini[7], si è puntato sull’informatizzazione di tutta la PA e dell’organizzazione giudiziaria.

Gli ultimi decenni hanno assistito la transizione da un utilizzo delle tecnologie come mero supporto operativo delle attività giurisdizionali e amministrative proprio degli anni ’80 e ’90 del 900 (epoca che è stata definita di “automazione formale”) ad una vera e propria gestione elettronica dei dati processuali, iniziata con il nuovo millennio, a fini lato sensuamministrativi ed organizzativi, e poi strettamente processuali. Ciononostante, si è protratto a lungo e si registra ancora oggi, nella gestione amministrativa del processo, l’uso di supporti tradizionalmente cartacei, sia nella produzione che nel processamento di dati, informazioni e documenti. Tale commistione tra gestione informatica e analogica della giustizia, vissuta come un ineliminabile passaggio del graduale processo di innovazione, attenua le più significative utilità offerte dall’informatica, compresa la funzionalità che consente di evitare duplicazioni di digitazione di dati e di agevolare il reperimento, la trasmissione e rielaborazione delle informazioni. Tale processo solleva esso stesso problemi giuridici non indifferenti: è fiorita, per esempio, all’indomani dell’introduzione della obbligatorietà di segmenti processuali nel processo civile (con il d.l. 179/2012 e successivi rimaneggiamenti ed integrazioni), una giurisprudenza sulle conseguenze processuali delle erronee o mancanti attestazioni di conformità che segnano il passaggio dal formato cartaceo a quello telematico (cfr. ex multis Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 30765 del 2017).

Il quadro normativo attuale tende al completamento e al riordino di tale progetto. Nelle due deleghe gemelle (legge n. 134/2021, per il processo penale e legge n. 206/2021, per il processo civile, si trovano disposizioni per la dematerializzazione del processo, per rendere il deposito degli atti, la comunicazione e la notifica obbligatoriamente telematici, per favorire la formazione – come regola – di un fascicolo interamente informatico, accessibile in remoto, così da relegare la gestione cartacea all’eccezione e pubblicizzare adeguatamente anche i malfunzionamenti dei domini giustizia, r garantire chiarezza della gestione del processo e diritti delle parti. Sullo sfondo le regole generali del CAD (codice dell’amministrazione digitale d.lgs. 82/2005) e le linee guida dell’AGID in materia di identità e di domicilio digitale, concetti già da tempo mutuati dalla normativa primaria speciale e da quella tecnica (in primis il d.l. 179/2012, il cui capo “Giustizia Digitale” contiene norme che si applicano non solo al processo civile e penale, ma anche a quello amministrativo e contabile, nonché le norme tecniche del processo telematico ordinario, adottate, dopo l’iniziale dm.123/2001, con DM 44/2011 dal Ministro della Giustizia, in attuazione del d.lgs. 193/2009) e applicati, con i necessari aggiustamenti, al processo civile e penale. 

Attualmente l’obbligatorietà del processo civile telematico, al netto dell’accelerazione un po’ disorganica imposta dalla pandemia, è già vigente in interi segmenti processuali di merito (in particolare dinanzi al Tribunale e alla Corte di appello), mentre la telematizzazione del processo di legittimità, avviata in fase emergenziale, deve ancora essere completata. Ancora non è partito il processo telematico davanti al giudice di Pace (si attendono sperimentazioni dopo l’estate 2022). Nel settore penale poi, se si escludono alcune deroghe introdotte nel periodo emergenziale, la digitalizzazione è tutta ancora da realizzare,  sia per  deposito telematico che per il fascicolo informatico.

Tutte queste riforme sono talora vissute dagli operatori interni (magistrati e personale amministrativo) ed esterni (avvocati, consulenti, notai, e delegati per specifiche attività) come una rivoluzione che, incidendo sulle prassi di lavoro, impone di confrontarsi con una professionalità tutta da acquisire, compresa la capacità di utilizzare moderni strumenti di lavoro.

Perciò la sfida della modernità, in termini di efficienza, si vince solo se accompagnata dalla riqualificazione del personale e dalla elaborazione di modalità operative, processo e procedimento, davvero efficienti e affidabili. 

Su questo aspetto va evidenziata anche la riorganizzazione amministrativa che ha disposto la Ministra Cartabia. Con il DPCM nr. 54 del 22 aprile 2022 è stato infatti istituito presso il Ministero della Giustizia il nuovo Dipartimento per la transizione digitale, l’analisi statistica e le politiche di coesione. Si tratta del quinto Dipartimento all’interno del Ministero della Giustizia (oltre a quelli per gli affari di giustizia; dell’organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi; dell’amministrazione penitenziaria; per la giustizia minorile e di comunità) costituito nell’ambito del programma di riorganizzazione della pubblica amministrazione previsto dal PNRR. Tale dipartimento opererà per il tramite di tre direzioni generali: Direzione Generale per i Sistemi Informativi Automatizzati; Direzione Generale di Statistica e Analisi Organizzativa; Direzione Generale per il Coordinamento delle Politiche di Coesione, e fornirà supporto al nuovo comitato tecnico scientifico per il monitoraggio sull’efficienza del processo civile, che si affiancherà a quello analogo relativo al processo penale. 

Concludendo, tutte le descritte misure, militano nel senso di favorire, attraverso la modernizzazione, la soluzione del problema della lentezza della nostra giustizia.

Che rapporto attualmente esiste tra assetto organizzativo del sistema giudiziario italiano, durata del processo e qualità della risposta giudiziaria?

Scrivere atti brevi, chiari e schematici, tanto per le parti che per il giudice, non è affatto facile, e richiede anzi un particolare dispendio di tempo. Una delle criticità maggiori che si evince dalla lettura degli atti giudiziari, soprattutto di parte, è l’utilizzo eccessivo del copia-incolla e l’utilizzo di una tecnica di scrittura ridondante e poco chiara.

Pertanto, l’equazione “tecnologia, atti chiari e sintetici, processo più breve e risposta giurisdizionale appropriata” non è affatto scontata, e anzi richiede un notevole sforzo attuativo.

La difficoltà di coniugare tutti questi aspetti, ossia di tutelare la strumentalità del processo e il diritto di difesa, e al tempo stesso di snellire forma e sostanza dei provvedimenti, emerge dalla lettura dei principi di delega civile. Mentre il legislatore delegante, infatti, ribadisce il principio di libertà delle  forme, al contempo statuisce che si debbano rispettare i “principi di chiarezza e sinteticità”, e ribadisce concetti come “la strutturazione di campi necessari all’inserimento delle informazioni nei registri del processo” e di “schema informatico dell’atto”, nonché  il principio del “raggiungimento dello scopo, pur prevedendosi che, della violazione delle specifiche tecniche, o dei criteri e limiti redazionali, si possa tener conto nella disciplina delle spese”.

Una doppia anima, dunque, di tutela delle esigenze di difesa e di attenzione al rispetto delle forme che assicurino un processo più veloce, sfrondato degli orpelli non necessari, ma accettabili, con il limite della compromissione del raggiungimento dello scopo dell’atto.

È anche vero, poi, che i nuovi addetti all’Ufficio del processo, figli del Law clerk della tradizione anglosassone, possono costituire uno staff in grado di supportare il magistrato in attività materiali, come lo smistamento degli atti, la correzione delle bozze, e, ove adeguatamente formati e forniti di supporti concreti, anche la ricerca giurisprudenziale e dottrinale.

Sicuramente tale sussidio può costituire un elemento importante nel controllo formale dei provvedimenti e, eventualmente, un valido aiuto nella costruzione del provvedimento, sgravando il magistrato delle attività più materiali e ripetitive per favorirne la concentrazione sugli aspetti più delicati della decisione.

E, però, anche su questo profilo, sarà necessario creare nuove sensibilità e nuove professionalità, in grado di saper organizzare e mettere a frutto le nuove risorse.

Se e in che misura la piena attuazione dell’Ufficio per il Processo modificherà l’identità istituzionale del giudice da puro “professionista della giurisdizione” a manager delle risorse umane affidate all’Ufficio?

La difficoltà che la magistratura percepisce in questo momento, in tutti i ruoli, è quella di coniugare la visione tradizionale del magistrato, da sempre visto come uno studioso che, sulla base delle risultanze processuali, sussume il caso concreto nello schema astratto, amministrando la giurisdizione in maniera rispettosa delle leggi, con la nuova visione che gli attribuisce compiti organizzativi e gli impone una rivisitazione del bagaglio professionale necessario (dal 2012, per esempio, ogni magistrato è chiamato a collaborare con il dirigenti, nella elaborazione dei programmi di gestione per lo smaltimento dell’arretrato,  nel settore civile, ai sensi dell’art. 37 del d.l. 6 luglio 2011 n. 98, convertito in legge 15 luglio 2011 n. 111)

Non più solo conoscenze giuridiche, dunque, ma conoscenza dell’informatica giudiziaria e giuridica, della statistica, cultura dell’organizzazione, gestione del personale.

Come visto, la stessa scrittura dei provvedimenti, in passato oggetto di espressione del sapere giuridico ed umanistico senza veri e propri limiti, si declina oggi come palestra di sinteticità ed efficacia, anche in vista del trattamento analitico dei dati che si ricavano dalle decisioni.

Le considerazioni precedenti, che valgono per tutti i magistrati, sono accentuate ove questi rivestano compiti direttivi o semidirettivi (cui compete la predisposizione dei programmi di gestione, delle tabelle, dei documenti organizzativi), o facciano parte dei Consigli Giudiziari. Il fiorire, poi, di nuove figure organizzative, correlate all’ufficio del processo e agli obiettivi di smaltimento dell’arretrato, frutto degli accordi europei, aumenta il bisogno di preparare i magistrati ad un’attività che non è solo quella di amministrare la giustizia fornendo la risposta giurisdizionale, ma anche quella di organizzare tale risposta affinché essa sia efficace, tempestiva, statisticamente misurabile e prevedibile.

In questo quadro generale, già delineato negli anni scorsi dal legislatore, si inserisce la riforma in atto. 

L’Ufficio del processo è, come noto, introdotto nel sistema con il d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla l. 11 agosto 2014, n. 114, ma solo in via sperimentale. Mira “ad affiancare al giudice un team di personale qualificato di supporto, per agevolarlo nelle attività preparatorie del giudizio e in tutto ciò che può velocizzare la redazione di provvedimenti”.[8]

Come noto, tali funzionari sono reclutati a tempo determinato in un contingente assai numeroso.[9] Al termine del periodo di lavoro a termine, ne è previsto il parziale inserimento a regime nell’ordinamento giudiziario (sul punto dispongono sia la legge delega per la riforma del processo penale che quella per il processo civile).

In particolare, quanto agli addetti a termine, è previsto che gli stessi svolgano compiti delicati a sostegno della giurisdizione ma anche di raccordo con le cancellerie (allegato II 80/2021).

È dunque fondamentale la loro formazione, che l’art. 16 d.l. 80 /2021 demanda al Ministero della giustizia[10]. Anche il Consiglio Superiore è intervenuto istituzionalmente, modificando la circolare sulle Tabelle di organizzazione degli uffici, prevedendo, con delibera CSM 13 ottobre 2021 due ulteriori figure, quali il  Coordinatore dell’UPP ( il dirigente o un Presidenti di sezione individuato dal dirigente o – eccezionalmente – tra i giudici dell’ufficio,  con compiti di coordinamento e controllo dell’Ufficio per il processo) e  il  Referente per gli addetti all’UPP (lo stesso dirigente oppure un magistrato selezionato a seguito di interpello, con preferenza per chi già abbia svolto attività di referente per i tirocini formativi o di coordinatore per l’UPP).

Nel quadro della formazione degli UPP,  posso dire, per essere stata coinvolta in qualità di componente del Comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura nella relativa convenzione con il Ministero, che il Ministero della Giustizia sta realizzando una imponente campagna formativa. Gli addetti saranno dotati a breve di accessi a banche dati per le ricerche dottrinali, e già è stato garantito l’accesso alle banche dati della Cassazione (italgiureweb).

È stata promossa una interlocuzione tra il Ministero, il CSM e la SSM volta a realizzare in tempi rapidi, alla luce delle varie circolari emanate, l’utile inserimento degli addetti negli uffici. È stata analizzata dal Ministero una linea di azione a contenuti omogenei nel paese sulla base dei progetti organizzativi che, per legge, gli uffici sono stati chiamati a predisporre.

La Scuola, poi, sta collaborando attivamente per sviluppare la cultura informatica dei magistrati, non solo dirigenti, che favorisca la conoscenza della statistica, dell’informatica giuridica e giudiziaria.

Ritornando dunque al tema proposto, mi pare che l’organizzazione dell’ufficio del processo non sia esattamente rimessa al singolo giudice, ma, prevalentemente, ai magistrati che svolgono funzioni direttive e semidirettive, oltre che alle nuove figure di riferimento introdotte negli uffici proprio per l’organizzazione del lavoro degli addetti. Per questo la Scuola (che è responsabile della formazione dei magistrati) ha proposto numerose iniziative dirette a promuovere un confronto consapevole sul tema. 

In altre parole, è proprio il terreno organizzativo e di collaborazione nell’organizzazione il vero terreno di sfida per l’auspicabile successo dell’ufficio del processo.

Qual è l’impatto qualitativo e quantitativo che è ragionevole attendersi dal nuovo Ufficio per il Processo rispetto alla complessiva capacità del Piano Straordinario per la Giustizia e della riforma processuale Cartabia di ridurre i tempi della giustizia e di migliorare la qualità della risposta giudiziaria?

Anche questa è una domanda estremamente complessa. 

Dall’osservatorio privilegiato della Scuola Superiore è emerso, soprattutto nel dialogo con le strutture territoriali di formazione e con i dirigenti, in primo luogo l’entusiasmo circa la possibilità di utilizzare queste figure professionali per consentire al magistrato di recuperare tempi e spazi per porre al centro l’impegno giurisdizionale. In tale ottica sono state già condivise esperienze positive di collaborazione con il magistrato (come la preparazione dell’udienza, la sistemazione fascicoli, le attività post-udienza, il filtro dell’udienza stessa) nonché di collaborazione con il personale amministrativo (pubblicazione sentenze, estrazione casellari, notifiche, comunicazioni).

Del resto, i giudici italiani, soprattutto nel settore civile, avevano salutato con favore le figure dei tirocinanti di cui all’art. 73 d.lgs. 98/2011. La figura di un assistente qualificato, che fornisca al giudice quell’ausilio materiale e intellettuale che ne agevoli i compiti, anche in raccordo con la cancelleria, colma un vuoto organizzativo molto critico delicato nel lavoro giudiziario.

Se il supporto straordinario che, nei prossimi tre anni, i giudici riceveranno, non può essere sottovalutato, al tempo stesso occorre tenere conto delle comprensibili preoccupazioni diffuse tra i magistrati in relazione agli obiettivi promessi nel PNRR in tema di smaltimento dell’arretrato. 

Tanto che sono pure note le perplessità di quanti contestano la stessa utilità degli addetti UPP, evidenziando  come le scelte si sarebbero dovute indirizzare verso le assunzioni di nuovi magistrati togati (essendo ritenuto insufficiente l’aumento della pianta organica[11] pur disposto nel 2018) e di personale amministrativo (anche se occorre evidenziare come, nel quadro del PNRR, al di là delle specifiche assunzioni degli addetti, risultano indette e previste ulteriori procedure concorsuali per  le assunzioni[12] per il personale amministrativo). 

Non mi compete toccare temi così delicati quali quello dell’aumento del numero dei magistrati, il connesso ed annoso problema delle carenze endemiche, colmate in maniera certamente discutibile, con l’ausilio di magistrati onorari, nominati per prestare un servizio onorario a termine e, invece,  prorogati per decenni, il tema del ricambio del personale amministrativo e della sua riqualificazione (questi ultimi punti pure oggetto del PNRR).

Mi pare tuttavia, che, nonostante l’immenso trauma organizzativo determinato dalla pandemia, le azioni governative attuali segnino un cambiamento di rotta rispetto al passato e che a questo punto sia essenziale un lavoro sinergico delle istituzioni (Ministero, Consiglio Superiore e Scuola Superiore)  non solo per monitorare  e studiare l’azione degli uffici ma per accompagnare gli stessi con un incessante lavoro di ausilio e affiancamento al fine di favorire il migliore utilizzo di queste figure.  Ciò consentirebbe anche di raccogliere ed elaborare i suggerimenti e le preoccupazioni dei magistrati, che temono di non raggiungere gli obiettivi promessi, nonostante l’arrivo degli addetti UPP e delle altre misure, utilizzando tali conoscenze per orientare le imponenti azioni innovative intraprese.

Solo in tal modo potranno essere indirizzate nel modo più coerente, in relazione alle specifiche situazioni territoriali e alle dimensioni di diversi uffici, le misure organizzative (rimesse agli uffici) dirette al cd. miglioramento della “performance”.

Conclusivamente, nell’attuale assetto ordinamentale, si può affermare che l’informatizzazione, tanto dell’amministrazione della giustizia che del processo, è stata incoraggiata da una normativa, sia primaria che regolamentare, e da un processo di riorganizzazione amministrativa (si veda il nuovo dipartimento per la Transizione digitale cit.). 

Perché il disegno funzioni occorre che tutti i tasselli del mosaico siano al posto giusto: norme processuali efficaci, sistemi informatici affidabili e funzionanti, riorganizzazione, potenziamento e distribuzione delle risorse adeguata, riqualificazione informatica, statistica e organizzativa del personale.

Si tratta di una grande sfida per la Giustizia, che solo con la conoscenza dei fenomeni giudiziari e con la collaborazione di tutti può essere vinta. 


[1] V. ex multis, sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 16 ottobre 2007 – Ricorso n. 64215/01 – causa De Trana c. Italia

[2] È noto come il personale amministrativo nella giustizia abbia sofferto di un blocco nelle assunzioni durato per oltre 20 anni, che il personale di magistratura non sia flessibile nella distribuzione del territorio

Sul punto va ricordata la importante innovazione disposta nella legge di bilancio per l’anno 2020 cd delle piante organiche flessibili, per peculiari esigenze in tema di smaltimento dell’arretrato o per far fronte ad eventi di carattere eccezionale. Il comma 432 della legge 27 dicembre 2019, n. 160, recante “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022” ha infatti previsto l’istituzione delle “piante organiche flessibili distrettuali” da destinare alla sostituzione di magistrati assenti ovvero all’assegnazione agli uffici giudiziari del distretto che versino in situazioni critiche di rendimento. La attuale ministra della Giustizia, Marta Cartabia, acquisito preventivamente il parere del Consiglio Superiore della Magistratura espresso il 22 dicembre 2021, ha emanato il Decreto 27 dicembre 2021 – Individuazione delle criticità che danno luogo all’applicazione delle piante organiche flessibili che individua le ‘condizioni critiche di rendimento‘ degli uffici giudiziari che “danno luogo all’assegnazione di nuove risorse e la relativa durata minima (un anno), nonché i criteri di priorità per destinare i magistrati della pianta flessibile distrettuale alla sostituzione nei casi di assenza dal servizio, ovvero per l’assegnazione agli uffici che versino in condizioni critiche di rendimento”.

[3] Nella legge di bilancio per l’anno 2020, si è introdotto un apposito articolato normativo volto alla costituzione, a livello distrettuale, di un contingente di pianta organica flessibile da poter destinare alle singole sedi giudiziarie per rispondere, con maggiore efficacia, a peculiari esigenze in tema di smaltimento dell’arretrato o per far fronte ad eventi di carattere eccezionale. Il comma 432 della legge 27 dicembre 2019, n. 160, recante “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022” ha infatti previsto l’istituzione delle “piante organiche flessibili distrettuali” (d’ora innanzi, breviter, “piante organiche flessibili”) da destinare alla sostituzione di magistrati assenti ovvero all’assegnazione agli uffici giudiziari del distretto che versino in situazioni critiche di rendimento, fissando criteri di priorità e principi generali per la relativa determinazione, che saranno puntualmente declinati con successivo decreto ministeriale.

[4] Il provvedimento rappresentava proprio il frutto della ricezione nell’ordinamento nazionale della giurisprudenza elaborata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in merito all’art. 41 Cedu, che impone di garantire un equo ristoro alle vittime del danno cagionato dalle violazioni convenzionali, a fonte delle numerose condanne inflitte all’Italia.

[5] Ai sensi dell’art. 3, comma 1, L. 24/03/2001, n. 89, la competenza a decidere sui ricorsi per equa riparazione spetta Corte d’Appello nel cui distretto ha sede il Giudice innanzi al quale si è svolto il primo grado del processo presupposto.

[6] E’ prevista la digitalizzazione di 10 milioni di fascicoli e l’adozione di strumenti avanzati di analisi dati (https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_30.page?previsiousPage=mg_1_8_1)

[7] L. 15 marzo 1997, n. 59 Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa

[8] https://www.gnewsonline.it/pnrr-giustizia-gli-interventi-per-la-ripresa/

[9] Le assunzioni con contratto a tempo determinato previste in questo ambito sono 16.100 unità per gli uffici di primo e secondo grado e 400 unità per la Corte di Cassazione, 5.410 unità saranno poi impiegate per personale amministrativo e tecnico a supporto delle attività amministrative, oltre a 1520 esperti coordinatori.

[10] Art. 16 d.l. 80/2021 Il Ministero della giustizia  assicura  l’informazione,   la formazione e la  specializzazione  di  tutto  il personale  a  tempo determinato assunto ai sensi del presente  capo  ((e  destinato  all’ ufficio)) per il processo di competenza  della  giustizia  ordinaria, individuando con decreto del Direttore generale del personale e della formazione specifici percorsi didattici, da svolgersi anche  per  via telematica.  

v. anche circolare DOG 11 DICEMBRE 2021

[11] Quanto ai magistrati, in particolare, l’articolo 1 comma 379 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (recante “bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021”) ha disposto, l’incremento del ruolo organico del personale della magistratura ordinaria di 600 unità. Tale incremento, il più consistente da oltre 20 anni, è stato tecnicamente operato tramite la sostituzione della tabella B allegata alla legge 5 marzo 1991 n. 71 -da ultimo modificata dall’art. 6 del decreto-legge 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197 – con la tabella 2 allegata alla succitata legge, con conseguente aumento del numero dei posti di dotazione dalle attuali 10.151 a 10.751 unità. In attuazione della suddetta disposizione è stato dapprima emanato il decreto ministeriale 17 aprile 2019 relativo alle piante organiche del personale di magistratura di legittimità ed in seguito il decreto ministeriale 14 settembre 2020, relativo alle piante organiche di tutti gli uffici requirenti e giudicanti di merito, dando attuazione al più importante intervento di ampliamento della dotazione organica dell’ultimo ventennio, secondo solo a quello disposto con la legge 13 febbraio 2001, n. 48.

[12] Quanto al personale amministrato è stato varato un piano straordinario di assunzioni di personale amministrativo per circa 12.000 unità 

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