Alessandra Ingrao
Ricercatrice di Diritto del lavoro, Università Statale di Milano
23 novembre 2023
Per un gruppo di studiosi giuslavoristi che si propone di instaurare “Dialoghi” con le professioni che operano nel mondo del lavoro non può non essere d’interesse la recente sentenza della Corte di cassazione, 25 settembre 2023, n. 38914 che, per la prima volta nella storia del diritto penale del lavoro, ha attribuito al Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) la responsabilità penale, a titolo di cooperazione colposa con il datore di lavoro (ex art. 113 c.p.), per l’omicidio colposo di un lavoratore.
Non è certo questa la sede per riproporre le criticità che la pronuncia solleva in diritto sotto il profilo dell’incriminazione del RLS in assenza di una posizione di garanzia normativamente prevista (per le quali rinvio al dibattito pubblicato dal Prof. Paolo Pascucci su Diritto della sicurezza sul lavoro, 2023 e al mio scritto Il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Storia, funzioni e responsabilità penale,).
Piuttosto, lo spazio del gruppo dialoghi è il luogo ideale per riflettere sulle conseguenze per le professioni che potrebbe avere in futuro un orientamento giurisprudenziale che fa discendere dalla rappresentanza sindacale dei lavoratori la responsabilità penale che è inscindibilmente connessa all’inadempimento di un dovere giuridico e che presuppone l’esigibilità di condotte attive realizzabili attraverso poteri materialmente esercitabili. Senza tuttavia considerare che la rappresentanza sindacale è un diritto – conquistato a fatica a dai primi delegati di linea/di reparto che costituivano il terminale delle esperienze e delle informazioni relative allo stato di salute di gruppi omogenei di prestatori – che ha permesso ai lavoratori, anche grazie alla partecipazione sindacale cristallizzata nel T.U. 81/2008, di esprimere una voce sul modello integrato di prevenzione e protezione dei diritti costituzionalmente garantiti di salute e sicurezza sul lavoro, in virtù del contributo fattivo al miglioramento del modello che deriva dall’esperienza del lavoro quotidiano.
La sentenza in parola, finendo per ampliare l’incriminazione, potrebbe essere scoraggiante per tutti i lavoratori che vogliano in futuro assumere la posizione di rappresentanza (P. Pascucci, Per un dibattito sulla responsabilità penale del RLS, in Diritto della Sicurezza sul Lavoro p. 3-4). Scoramento che è aggravato altresì dalla considerazione che questa figura non è dotata dalla legge di poteri d’intervento e spesa per rendere sicura l’organizzazione, ma soltanto di un ruolo propositivo e di suggerimento diretto a “cercare” di orientare l’azione dei garanti della salute e della vita delle persone che lavorano (il datore di lavoro, il dirigente, il preposto e il RSPP).
E di qui il dilemma: incoraggiare con i provvedimenti giudiziari la già nota “solitudine” del RLS (denunciata da autorevole dottrina) oppure rafforzare il fondamentale ruolo di rappresentanza e contropotere collettivo esercitato da questa figura la cui partecipazione è ritenuta essenziale anche dall’ordinamento europeo nel sistema integrato della prevenzione?
La domanda suona retorica.
Il problema della solitudine del RLS è infatti derivante dal fatto che la normativa è stata interpretata dalle aziende sino a qui in senso burocratico, senza cioè una effettiva valorizzazione della partecipazione sindacale al sistema della prevenzione. Il RLS è invece un importante anello di raccordo tra l’azienda e l’esperienza e conoscenza dei lavoratori. Un esempio fra tutti è costituito dalla redazione e consultazione del DVR che dovrebbe essere redatto con criteri di comprensibilità per garantire la pronta consultazione da parte del rappresentante ed invece è spesso divenuto documento inaccessibile.
Ed allora, in assenza di un intervento normativo ad hoc, che intervenga a rafforzare il ruolo del RLS oltreché sulle procedure di nomina/elezione della rappresentanza per garantirne la genuinità (cosa che per esempio non era avvenuta nel caso giudicato dalla sentenza della Corte dove il datore aveva nominato come RLS un dirigente aziendale) si reputa utile formulare un brevissimo suggerimento di “autodifesa” degli RLS. È infatti opportuno al fine di evitare la responsabilità penale, specialmente se la sentenza della Cassazione diverrà un orientamento consolidato – cosa implausibile dal momento che come si è brevemente accennato il principio di diritto dipendeva fortemente dal caso concreto in cui il RLS sedeva nella “stanza dei bottoni” – che gli RLS lascino sempre una traccia scritta, anche digitale, dello svolgimento delle proprie attività nei limiti delle attribuzioni perimetrate dalla legge, in modo da difendersi da eventuali rimproveri penali per contegni omissivi.