Laura Curcio, già Consigliere di Cassazione, Sezione Lavoro
4 ottobre 2021
Continua con sempre maggior interesse la produzione giurisprudenziale avente ad oggetto l’interpretazione della normativa che regola il rapporto di lavoro dei riders, figura oramai divenuta, a torto o a ragione, il simbolo della nuova modalità di prestazione di consegna a domicilio.
L’ultima recente decisione emessa nell’ambito di un procedimento ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori (SdL), è il decreto del 30.6.2021, con cui il Tribunale di Bologna ha accolto il ricorso dei sindacati NIDIL CGIL, FILT CGIL e FILCAMSCGIL, dichiarando l’antisindacalità della condotta della società Deliveroo Italy srl, aderente all’associazione datoriale Assodelivery, che aveva imposto ai suoi lavoratori l’accettazione del contratto collettivo nazionale recentemente stipulato con il sindacato UGL Rider, pena la mancata continuazione del rapporto di lavoro.
Il tribunale, accogliendo le doglianze dei sindacati ricorrenti e respinte le eccezioni processuali della convenuta società, ha ritenuto territorialmente competente il tribunale adito, ma in particolare ha ritenuto applicabile il rito speciale dell’art. 28 L. n. 300/70, sebbene si fosse in presenza di rapporti di lavoro di natura non subordinata.
Proprio questo secondo punto della decisione risulta essere particolarmente interessante e di grande rilevanza, perché affronta la questione, indubbiamente innovativa, che riguarda i limiti entro cui la disciplina propria del lavoro subordinato, secondo quanto disposto dall’art. 2 del Dlgs n. 81/2015, come modificato dal DL n. 101/2019, convertito nella L. n. 128/2019, può regolamentare queste nuove figure di lavoratori. Questione già affrontata e risolta in maniera opposta dal precedente decreto del Tribunale di Firenze del 9.2.2021, emesso sempre nell’ambito di un procedimento di repressione antisindacale ai sensi dell’art. 28 SdL, in cui il giudice ha respinto il ricorso degli stessi sindacati ricorrenti nei confronti della stessa società Deliveroo, escludendo che tale procedura speciale potesse essere estesa alla regolazione di conflitti verificatisi nell’ambito di rapporti di lavoro di natura autonoma e/o parasubordinata, trattandosi di uno strumento di tutela tipico del rapporto di lavoro subordinato. Il tribunale fiorentino ha peraltro anche escluso che la sommarietà del rito potesse consentire un accertamento della obbligatorietà della prestazione e quindi della subordinazione, sia pure semplificato e strumentale alla richiesta declaratoria di antisindacalità.
Ma in particolare il giudice fiorentino, richiamando principi espressi nella sentenza della Cassazione n. 1663/2020, ha escluso che la tutela sindacale di cui all’art. 28 SdL possa rientrare nell’ambito di quella “disciplina del lavoro subordinato” che il novellato art. 2 del Dlgs n. 81/2015 ha reso applicabile a fattispecie di “collaborazioni prevalentemente organizzate dal committente”. Viene infatti accolta un’interpretazione restrittiva e sistematica che limita l’applicazione della normativa al solo trattamento economico e normativo, limitazione che per il Tribunale troverebbe la sua fonte nella deroga contenuta nel comma 2 del citato art. 2 che, alla lettera a), esclude l’applicazione della disciplina legale del rapporto di lavoro subordinato quando siano stati conclusi specifici accordi collettivi nazionali con OOSS maggiormente rappresentative, i quali regolano in maniera specifica il trattamento economico e normativo in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore.
Esclude poi il provvedimento fiorentino che la disciplina antidiscriminatoria e quella a tutela della libertà e dignità del lavoratore subordinato, estesa anche ai lavoratori delle piattaforme digitali dall’art. 47 bis e quinqiues del Dlgs n. 81/2015 (come integrato dal DL n. 101/2019, convertito nella L. n. 128/2019) possa costituire fonte di legittimazione dei sindacati ricorrenti per l’applicazione dell’art. 28 Sdl.
A diversa conclusione giunge invece il decreto del Tribunale di Bologna del giugno 2021, che pur condividendo la non riconducibilità del rapporto di lavoro dei riders alla fattispecie di cui all’art. 2094 c.c., per l’assenza del requisito tipico dell’ obbligatorietà della prestazione secondo modalità e tempi stabiliti dal datore di lavoro, ha ritenuto percorribile la strada della tutela sindacale, perché rientrante comunque nella gamma di strumenti di azione giudiziaria che la normativa di cui al Dlgs n. 81/2015, come modificata dalla L. n. 129/2019, consente.
Il presupposto per l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato senza esclusione delle tutele antidiscriminatorie ed anche sindacali, viene infatti individuato non nella natura subordinata della prestazione del rider, che il giudice, richiamandosi in parte alla sentenza della Corte d’Appello di Torino sentenza 4 febbraio 2019, n. 26, riconosce non allinearsi ai requisiti tipici indicati dall’art. 2094 c.c., ma direttamente alla fattispecie astratta definita dall’art. 2, comma 1 del Dlgs n. 81/2015 e successive modificazioni, sottolineando – con Cassazione n. 1663/2019 – che l’elemento distintivo è quello della etero-organizzazione nella fase di esecuzione del rapporto. Del resto anche le espressioni usate dal legislatore potrebbero far propendere, seppure in termini squisitamente letterali, per la natura non subordinata del rapporto. C’è chi ha infatti evidenziato come nella norma venga usata l’espressione “si applica” e non “si considera”, a conferma di una volontà del legislatore di evitare l’introduzione di una presunzione e di escludere quindi la possibilità di conversione del rapporto da autonomo a subordinato.
Questa opzione interpretativa tuttavia non ha impedito, comunque, al Tribunale bolognese di ritenere applicabili ai lavoratori della Deliveroo, rientranti in quelli di cui all’art. 47 bis del Dlgs n. 81/2015, non solo la tutela antidiscriminatoria e la tutela della libertà e dignità del lavoratore, propria dei lavoratori subordinati come previsto dall’art. 47 quinquies, ma altresì, e questo secondo passaggio è più critico ma certamente il più interessante, l’esercizio della tutela sindacale anche attraverso lo strumento di cui all’art. 28 SdL, norma processuale e allo stesso tempo sostanziale.
Ad avviso di chi scrive la scelta del Tribunale di Bologna appare condivisibile per vari ordini di motivi.
Va presa in considerazione in particolare l’opzione scelta dal legislatore che ha inteso garantire al lavoratore che svolge la sua attività tramite piattaforme digitali (siano essi riders o anche drivers) e la cui prestazione lavorativa è comunque organizzata dal committente, una maggiore tutela rispetto agli altri lavoratori non subordinati, proprio in ragione della tipologia di prestazione, caratterizzata da una “autonomia” molto affievolita.
Che il confine tra autonomia e subordinazione in questo specifico rapporto lavorativo sia effettivamente assai labile trova conferma non solo nella legislazione prima ricordata, ma nella giurisprudenza, che ha registrato pronunce di vario ed opposto orientamento, anche in ambito eurounitario: dalla interessante sentenza del tribunale di Palermo n. 3570/2020, che ha ritenuto l’esistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata del rider, richiamando anche decisioni straniere espressesi nello stesso senso ed in particolare la sentenza spagnola del Tribunal Supremo – Sala de lo Social n. 805/2020, orientamento poi confermato da una successiva decisione del T. S. del 26.5.2021, nonché la sentenza della Corte di Cassazione francese n. 374 del 2020, alle pronunce che, come quelle bolognese e fiorentina del febbraio e del giugno 2021, precedute dalla sentenza n. 1853 del 1°.11.2018 del tribunale di Milano, hanno invece escluso la subordinazione, sia pure individuando una fattispecie ibrida, una sorta di tertium generis, tesi interpretativa della Corte d’Appello torinese prima indicata, non avvalorata tuttavia dalla Corte di Cassazione n. 1663/2020, che però ha riconosciuto come, in una realtà economica soggetta a una così costante rapida evoluzione, non sia più possibile una rigida collocazione delle prestazioni lavorative nell’una o nell’altra categoria.
La Suprema Corte infatti ha evidenziato in maniera esemplare come i rapporti di lavoro tramite piattaforme digitali siano caratterizzati da “un regime di autonomia ben diverso, significativamente ridotto nella fattispecie dell’art. 2 d.lgs. n. 81 del 2015: integro nella fase genetica dell’accordo (per la rilevata facoltà del lavoratore ad obbligarsi o meno alla prestazione), ma non nella fase funzionale di esecuzione del rapporto, relativamente alle modalità di prestazione, determinate in modo sostanziale da una piattaforma multimediale e da un applicativo per smartphone.”
La Cassazione, dunque, pur non intervenendo sulla qualificazione del rapporto oggetto di causa, nel rispetto del perimetro interpretativo della fattispecie così come delimitato dal ricorso, sottolinea il dato determinante dell’etero-organizzazione nella fase esecutiva della prestazione lavorativa, che richiede e trova appunto la sua regolamentazione nella normativa del lavoro subordinato. Dato che la Corte considera con riferimento non solo alla disposizione legislativa applicabile al caso esaminato, che caratterizza la collaborazione in termini di esclusività, ma anche a quella intervenuta successivamente nel 2019, che ha sostituito all’esclusività il concetto più esteso di prevalenza personale, ma che ha allargato, in particolare, l’applicazione di tale normativa ai lavoratori organizzati attraverso le piattaforme digitali i quali, si è visto, hanno di fatto margini di “autorganizzazione” estremamente ridotti, se non in alcuni casi quasi inesistenti.
E che il legislatore abbia ritenuto che la prestazione dei lavoratori – non subordinati – delle piattaforme dovesse essere maggiormente tutelata trova conferma nella più articolata disciplina per loro prevista dal capo V bis aggiunto al Dlgs n. 81 con il DL n. 101/2019, convertito nella L. n. 128/2019.
Si tratta infatti di una disciplina indubbiamente in parte mutuata da quella dei lavoratori subordinati, messa in atto attraverso “contratti collettivi” (non “accordi”) quanto al compenso retributivo, nonché regolamentata dalle ulteriori precise disposizioni contenute nel citato capo V bis, relative alla copertura assicurativa obbligatoria INAIL, alla protezione dei dati personali e, non ultimo, al divieto di discriminazione e alla tutela della libertà e dignità del lavoratore previste per i lavoratori subordinati, di cui all’art. 47 quinquies.
E le garanzie di un compenso rispettoso comunque di parametri individuati da contratti collettivi stipulati da OOSS maggiormente rappresentative o, in mancanza di contratto collettivo, di parametri retributivi contenuti in contratti collettivi di settori affini, come precisa la norma di cui all’art. 47 quater, sono ulteriore conferma che l’espressione di cui all’art. 2 del Dlgs n. 81/2015 “a far data dal…. si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione…” non possa essere interpretata nella restrittiva formula che esclude da tale disciplina la tutela messa in atto anche attraverso il ricorso all’art. 28 SdL, sebbene si sia in presenza di un rapporto di lavoro al quale il legislatore non riconosce espressamente natura subordinata, ma al quale la relativa disciplina va applicata.
Orientandosi diversamente dal Tribunale di Firenze, il giudice bolognese ha infatti chiarito come la l’art. 28 SdL, è allo stesso tempo norma processuale ed anche sostanziale. Affermazione che va condivisa in base ad un’interpretazione logico – sistematica, riferita anche al contesto storico ed allo scopo per cui la norma è stata emanata, ossia sanzionare comportamenti diretti a limitare la libertà e l’attività sindacale e il diritto di sciopero.
Ma è la stessa Cassazione nella citata decisione n. 1339/2020 che rileva come “al verificarsi delle caratteristiche delle collaborazioni individuate dall’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2015, la legge ricollega imperativamente l’applicazione della disciplina della subordinazione”, senza operare alcuna distinzione tra normativa applicabile e normativa non applicabile.
Del resto non si può escludere che nel caso in esame esistano interessi coincidenti, del sindacato ed anche dei lavoratori suoi iscritti. Vi è l’interesse del sindacato, che ha la funzione di tutelare i lavoratori dall’applicazione ad essi di un compenso inadeguato e peggiorativo, raggiunto attraverso un contratto collettivo illegittimo perché stipulato con un sindacato che, non godendo della maggiore rappresentatività, non aveva il potere di stipulare contratti “in deroga” ai sensi del comma 2 dell’art. 2 del Dlgs n. 81/2015. E questo ad avviso di scrive è anche interesse collettivo proprio ed originario del sindacato, che attiene alle sue prerogative sindacali.
Ad esso si aggiunge il concomitante interesse a denunciare i conseguenti provvedimenti discriminatori, adottati dalla società nei confronti di coloro che non hanno accettato le nuove condizioni economiche imposte dalla società, considerate appunto illegittime.
Il fattore sindacale è oramai pacificamente inserito nei fattori discriminatori indicati dalla normativa eurounitaria, rientrando nell’ampio concetto di convinzioni personali. Del resto soltanto l’inclusione della “convinzione sindacale” in tale generico fattore può garantire l’effettività della normativa antidiscriminatoria.
Ma è proprio la più articolata tutela individuale, garantita dal legislatore ai lavoratori delle piattaforme con la disposizione di cui all’art. 47 quinquies del capo V bis del novellato Dlgs n. 81, che sembra allargare le maglie della azionabilità anche al procedimento antisindacale. Non si spiegherebbe altrimenti perché la norma non si sia limitata a sancire l’applicazione della oramai onnicomprensiva “disciplina antidiscriminatoria“ che trova ora nell’art. 15 dello SdL una specifica e compiuta descrizione degli atti discriminatori datoriali, nel tempo individuati anche sulla base della normativa erurounitaria; ma ha anche aggiunto l’applicazione della disciplina “a tutela della libertà e dignità prevista per i lavoratori subordinati compreso l’accesso alla piattaforma” che, se non si ritiene essere una prescrizione esclusivamente pleonastica, dovrebbe interpretarsi come tutela apprestata anche attraverso l’azione di antisindacalità, quando la condotta datoriale lede anche prerogative proprie di quelle organizzazioni sindacali le quali, secondo la normativa che si esamina, solo le uniche titolate a contrattare, in quanto maggiormente rappresentative.
Già la tutela antidiscriminatoria, garantita dalla relativa normativa di derivazione eurounitaria e messa in atto attraverso la procedura apprestata dal rito sommario di cognizione di cui al Dlgs n. 150/2010, copre la vasta gamma di condotte illecite tra le quali quelle dirette a ledere anche la “convinzione sindacale“ rientrante nel concetto di convinzione personale. Ma nel procedimento antidiscriminatorio la libertà e l’attività sindacale o il diritto di sciopero sono tutelati in via mediata.
Nel caso posto all’esame del Tribunale bolognese tuttavia coesistono due interessi e si è in presenza quindi di una condotta che potrebbe dirsi “plurioffensiva”, che vede lesi contemporaneamente tanto l’interesse del sindacato quanto quello dei lavoratori ad esso iscritti, per quanto prima osservato. E questo legittima, a parere di chi scrive, l’applicabilità della tutela ex art. 28 SdL, nel suo carattere di norma anche sostanziale.
La Cassazione, con la sentenza n. 2 del 2020, accogliendo la tesi che vede l’orientamento sindacale incluso nel fattore discriminatorio delle convinzioni personali, ha oramai ritenuto di estendere lo speciale criterio di riparto dell’onere probatorio di cui all’art. 28 del Dlgs n.150 anche al giudizio di repressione sindacale di cui all’art. 28 SdL, così intendendo privilegiare un’interpretazione delle disposizioni antidiscriminatorie, considerandole come un corpus di norme sostanziali e procedurali multi livello.
E ciò proprio per evitare che un mancato coordinamento tra i riti speciali – antidiscriminatorio e antisindacale – possa portare di fatto a conclusioni divergenti in particolare sul piano probatorio.
Ma soprattutto la decisione adottata dal Tribunale di Bologna, peraltro in fase sommaria e quindi non ancora elaborata in una più compiuta motivazione propria della fase di merito, certamente induce a valutare comunque un aspetto particolarmente importante, che oggi appare sempre più critico: la non più sostenibile differenziazione delle tutele maggiormente significative tra lavoro subordinato e lavoro eterorganizzato, in particolare con riferimento alle peculiari modalità di prestazione dei cd. “lavoratori delle piattaforme”.
Riecheggia e si ripropone, ovviamente in un contesto economico e strutturale affatto diverso, l’ampio e corposo dibattito che, alla fine del secolo breve con la nascita del cd. postfordismo, ha coinvolto con grande interesse giuslavoristi e analisti sociali sui c.d. “destini del lavoro”[i]. Lavoro che mutava e che metteva in crisi il modello classico della subordinazione introducendo allora il concetto di “autorganizzazione”, con la necessità di governare quella deregulation che stava iniziando a modificare gli assetti del mondo del lavoro. Come sappiamo si confrontarono proposte varie, di grande respiro ed alcune di grande precisione tecnico giuridica, nate da una ampia discussione nell’ambito dell’osservatorio giuridico della CGIL[ii], tutte poi superate dal cd. “Libro Bianco”, base della riforma del 2002.
Come allora, esiste un problema di riregolazione del mercato del lavoro e dei lavori, ma soprattutto esiste anche oggi la necessità di garanzie in qualche modo indisponibili al di là della qualificazione del rapporto, una predisposizione di un unico ombrello protettivo per tutte le attività eterodirette che non può che attuarsi anche attraverso la rappresentanza sindacale.
[i] I “destini del lavoro”, Autonomia e subordinazione nella società postfordista”, a cura di F. Amato, Quaderni di “questione giustizia”.
[ii] Aavv. La disciplina del mercato del lavoro, a cura di G. Ghezzi