Giuseppe Bronzini
Presidente della sezione lavoro della Corte di cassazione
28 Aprile 2021
Uno spettro si aggirava per l’Europa, non solo tra le Cancellerie, ma nelle borse e, soprattutto, tra i cittadini degli Stati più colpiti dalla crisi pandemica. Proprio la Germania, la cui volontà politica è stata alla base della complessa architettura del Recoveny Plan, attraverso la determinazione del suo Governo (una sorta di testamento ideale – si è detto – della Merkel, insieme al nulla osta alla Conferenza sul futuro dell’Unione che aprirà i suoi lavori il 9 maggio) avrebbe potuto, alla fine, essere l’artefice del suo blocco e della sua archiviazione attraverso l’ipersensibilità dei suoi Giudici costituzionali sui temi europei. L’ultimo episodio di questa sorta di “guerriglia” sull’interpretazione dei Trattati e sulla possibilità di offrirne una lettura evolutiva è stato il ricorso al Tribunale costituzionale di Kalsruhe di un gruppo di esponenti dell’ultra destra tedesca (scissionista dall’AFD) guidato da Berndt Lucke con presentazione di un’istanza di ingiunzione preliminare con la quale si chiedeva di non promulgare l’atto di ratifica del Parlamento della decisione del Consiglio del 14 dicembre 2020 sulle “risorse proprie” (il cosidetto Recovery package), strumento essenziale per coprire le spese del Next generation EU, oltre a quelle messe a disposizione del quadro finanziario pluriennale 2021-2027. Secondo gli istanti, l’atto di ratifica interno violerebbe l’art. 38, par. 1, in combinato disposto con l’art. 20, par. 1 e 2, e l’art. 79, par. 3, della Legge fondamentale in quanto sarebbero stati calpestati alcuni tratti dell’identità costituzionale nazionale come «il diritto all’autodeterminazione» democratica poiché il meccanismo previsto dagli organi sovranazionali (già approvato sia dal Bundestag che dal Bundesrat) potrebbe far venir meno i poteri interni di determinare e controllare la spesa pubblica soprattutto con la legge di bilancio. La decisione del Consiglio autorizza, infatti, la Commissione a contrarre prestiti sul mercato sino a 750 miliardi di euro per conto dell’Unione, con la possibilità di chiedere ulteriori finanziamenti sia per finanziare ulteriori programmi di soccorso anti Covid-19 , sia a titolo di responsabilità per l’Unione nel caso in cui alcuni Paesi non fossero in grado di onorare i loro impegni. Queste ulteriori decisioni di spesa sfuggirebbero all’approvazione del Bundestag che non «sarebbe più padrone delle sue decisioni». Si è chiesto quindi, in via di urgenza, di sospendere la promulgazione della ratifica parlamentare: il Tribunale costituzionale ha quindi intimato al Presidente Frank Walter Steinmeier di non firmare e quindi, con l’ordinanza del 21.4.2021, la richiesta di urgenza è stata respinta (pende ovviamente la decisione di merito): la Germania potrà quindi ratificare in tempi brevissimi e con ogni probabilità non vi saranno gravi ritardi nell’attribuzione dei primi aiuti agli Stati membri([1]).
Ora veniamo all’ordinanza; in primo luogo, la censura di costituzionalità viene ritenuta ammissibile e non manifestamente infondata posto che «appare quantomeno possibile che la decisione sulle risorse proprie violi la responsabilità generale del Bundestag in materia di bilancio (…) e violi il diritto dei ricorrenti all’autodeterminazione democratica»[2]. Aggiunge Il Tribunale che «ogni volta che la Federazione intraprende misure importanti di aiuto a livello internazionale dell’UE che incidono sulla spesa pubblica è necessaria l’approvazione del Bundestag in ogni singolo caso (…). Violerebbe in principio di democrazia se il tipo ed il livello della spesa pubblica fossero in misura significativa determinati a livello sovranazionale, privando il Bundestag della sua prerogativa decisionale». Questa apertura sull’ammissibilità era scontata e del resto coerente con l’atteggiamento delle Corti competenti sui ricorsi per violazione dei diritti fondamentali anche in via d’urgenza. La Corte avverte, però, che sussisterebbe una violazione della Legge fondamentale solo se questa limitazione del potere decisionale del Parlamento fosse di natura molto rilevante e per un periodo tempo considerevole. Sotto questo profilo emerge che contributi ulteriori potrebbero essere richiesti dalla Commissione solo qualora altri Stati non onorassero i loro impegni e comunque non vi fosse la possibilità di provvedere con altre misure straordinarie e in proporzione, comunque, alle entrate di bilancio stimate per ciascuno Stato. Ancora il Tribunale evidenzia che il Recovery è uno strumento ad hoc e va dimostrato che la decisione del 14 dicembre possa portare alla creazione di strumenti permanenti che potrebbero condurre all’assunzione da parte della Germania di una responsabilità per decisioni di altri Stati membri e, infine, che ciò comporti una perdita stabile di influenza del Parlamento sull’uso dei fondi forniti. Si sottolinea che per la Germania il rischio di spese aggiuntive sarebbe solo di 21 miliardi sino al 2058, sulla base di uno scenario che già il Parlamento ha giudicato irrealistico: non vi è dubbio, quindi, che le conseguenze di mettere a repentaglio un piano di soccorsi straordinario per la ripresa post-pandemica che «metterebbe a dura prova le relazioni esterne ed europee», secondo la valutazione del Governo tedesco che gode di un ampio margine di apprezzamento in questa materia, sono molto significative del pericolo che una verifica di costituzionalità della decisione del Consiglio porti a giudicare la stessa ultra vires e, quindi, a dover ripristinare l’ordine costituzionale interno.
Ci sembra che nel complesso il Tribunale abbia avvertito che la parlamentarizzazione interna di ogni decisione sulle spese sia da intendere cum grano salis, nel senso che una marginale e comunque limitata nel tempo richiesta di risorse aggiuntive della Commissione o di un impegno ulteriore finanziario (pro-quota) della Germania per Stati insolventi non potrebbero costituire automaticamente un vulnus all’identità costituzionale ed al suo principio democratico. La via da tempo indicata è quella della parlamentarizzazione delle scelte, che forse potrebbe percorrere la strada di un concorso tra il Parlamento europeo e quelli nazionali che consenta quantomeno un controllo sull’uso dei fondi, come accenna l’ordinanza. Qui in effetti ci potrebbe essere una carenza del sistema adottato in piena crisi pandemica per il Recovery che, solo alla fine e su ultimatum del Parlamento europeo, ha portato ad un accordo inter-istituzionale con Commissione e Consiglio che consente almeno l’informazione sulle procedure sui Progetti, la loro implementazione, il dialogo con gli Stati richiedenti etc.[3] Una certa trasparenza e controllo sull’operazione nel suo complesso appare imprescindibile se si vuole che il Recovery costituisca l’occasione, grazie anche al suo successo, per un cambio di paradigma in ordine alla solidarietà tra Stati di fronte a situazioni di crisi. Attualmente le norme del Patto di stabilità sono solo sospese per l’attivazione della clausola di salvaguardia e solo per fronteggiare la pandemia si è alluso ad un debito comune paneuropeo, ad interventi che privilegiano lo stato di necessità degli Stati sulla loro solidità finanziaria, su una condizionalità «buona», di promozione delle capacità di reazione interne e non a carattere punitivo e via dicendo. Le preoccupazioni “parlamentaristiche” del supremo Tribunale tedesco potrebbero essere recuperate e valorizzate anche a livello sovranazionale, tanto più che sono state, ragionevolmente, specificate per situazioni così estreme da potersi difficilmente realizzare. Il 9 maggio si aprirà una Conferenza sul futuro dell’Unione: sarà anche suo compito proporre in che modo, ad esempio, l’art. 122 del TFUE (che stabilisce interventi di aiuto agli Stati che versano in difficoltà eccezionali) si possa combinare con l’art. 125 TFUE sul divieto di mutualizzazione del debito dei singoli Stati (come in parte avviene in sostanza nel Recovery, posto che gli Stati più colpiti sostenuti da aiuti a fondo perduto altrimenti avrebbero dovuto indebitarsi ulteriormente. Insomma, quella tra la Corte tedesca e le élites che vogliono approfondire il processo di integrazione è una partita in divenire nel corso della quale finalmente l’Unione gioca con determinazione le sue carte, tra le quali uno spettacolare piano di implementazione del Pilastro sociale europeo capace di recuperare il consenso popolare[4]. L’ordinanza di ieri è piuttosto tranquillizzante ed offre un sostegno per chi pretende che il rilancio del Progetto di Ventotene sia attento ai principi democratici.
Lo spettro, quindi, forse c’è ancora ma, come nell’immortale commedia di De Filippo, almeno possiamo con tranquillità berci un caffè sul terrazzino.
[1] La sentenza è leggibile a Bundesverfassungsgericht – Entscheidungen – Eilantrag zur Ausfertigung des Eigenmittelbeschluss-Ratifizierungsgesetzes abgelehnt („EU-Wiederaufbaufonds“); il comunicato stampa è stato tradotto anche in inglese.
[2] Traduzione di chi scrive dal comunicato stampa.
[3] Molto pessimista la ricostruzione di F. Salmoni, Recovery Fund, condizionalità e debito pubblico. La grande illusione, Cedam, 2021.
[4] Rinvio al mio Il senso di Ursula per la solidarietà. Verso un welfare paneuropeo?, in Questione giustizia online. Sull’ordinanza qui in commento cfr. G.L. Tosato, Via libera di Karlsruhe al Newt generation EU, in www.affariinternazionali.it.