Sonia Fernández Sánchez
Ricercatrice di Diritto del lavoro,
Università di Cagliari
2 febbraio 2022
La Riforma del lavoro spagnola, negoziata attraverso un Accordo tripartito il 23 dicembre 2021, è il risultato di una difficile e complessa contrattazione tra le parti sociali. Prima ancora assume una notevole rilevanza politica in quanto la destra e l’estrema destra spagnola si sono impegnate a fondo nel tentativo di far fallire il provvedimento. La loro opposizione è dovuta al fatto che la Riforma appena approvata smantella – ma solo in parte – la precedente Riforma del mercato del lavoro del 2012, che la destra (PP) ha sempre difeso sostenendo trattarsi di una misura che avrebbe consentito la ripresa economica. L’opposizione, peraltro, deriva anche dal fatto che la riforma va in senso diametralmente opposto a quanto contenuto nel programma elettorale degli schieramenti dell’estrema destra spagnola (VOX), che invocavano forme di deregolazione del mercato del lavoro ancora più spinte e l’adozione di misure di stampo neoliberale.
Per altro verso, il fatto che la Riforma sia stata introdotta a seguito di un accordo sociale – “riforma del lavoro del consenso” e, quindi, “sinonimo di un buon accordo” – comporta un’ampia legittimazione politica – supportata tanto dalla parte sindacale come da quella imprenditoriale – che rappresenta un segnale di grande rilevanza nei confronti dell’Unione europea (Mario Barros, La reforma laboral del consenso, El Confidencial)
Faro della Riforma è stato il “componente” n. 23 (“nuove politiche pubbliche per un mercato di lavoro dinamico, resiliente e inclusivo”) del Piano di Recupero, Trasformazione e Resilienza che il Governo spagnolo ha concordato con la Commissione europea. Essa, per altro verso, risulta coerente con altri provvedimenti precedentemente adottati dal governo in carica, come la soppressione della norma che includeva l’assenteismo tra le cause di licenziamento legittimo; il riconoscimento della natura subordinata del contratto di lavoro dei riders; la regolamentazione del lavoro agile; i provvedimenti in materia di trasparenza retributiva connessi ai piani per la parità uomo-donna; la nuova configurazione della politica di impiego e il piano di attuazione in materia di Ispezione di lavoro.
Obiettivo del Piano è quello di modernizzare e affrontare i diversi problemi presenti nel mercato del lavoro spagnolo, grazie ad un investimento di oltre 2.300 milioni di euro e di un coerente insieme di riforme orientate, in prevalenza, al rafforzamento del dialogo sociale; alla riduzione della disoccupazione strutturale e della disoccupazione giovanile; alla correzione della dualità nel mercato del lavoro; al miglioramento del capitale umano, alla modernizzare della contrattazione collettiva ed al miglioramento dell’efficienza delle politiche pubbliche di impiego.
La Riforma, in definitiva, prevede un nuovo contratto sociale che renda compatibile “la stabilità nell’impiego con le necessità di un’economia in piena evoluzione in presenza di una fase di transizione ecologica e digitale”. Il conseguimento di tale compatibilità, secondo quanto indicato dagli obbiettivi della Riforma, dovrà avvenire grazie a modifiche che dovranno riguardare quattro grandi interventi: a) la semplificazione dei contratti di lavoro; b) la modernizzazione della contrattazione collettiva; c) la modernizzazione della disciplina degli appalti e dei subappalti; d) la regolamentazione della flessibilità interna mediante una riforma degli ERTE (expediente di regulación temporal de empleo, simile alla CIGO italiana) che incorpora una parte di quelle misure, adottate durante l’emergenza, che hanno consentito la protezione di un gran numero di posti di lavoro, nonché un nuovo meccanismo, stavolta stabile, che consenta alle imprese di adattarsi alle esigenze del mercato mediante la combinazione del mantenimento dei posti di lavoro con politiche di formazione e riqualificazione del personale.
La Riforma si propone di correggere i fattori di distorsione del mercato di lavoro spagnolo, caratterizzato da “un livello di rotazione molto elevato, con molte persone, specialmente giovani, che si trovano in un flusso continuo tra la disoccupazione e il lavoro a termine, il che risulta inefficiente per i lavoratori, ma anche per le imprese, che devono pagare delle indennità alla scadenza del contratto, e per il settore pubblico, che finanzia con prestazioni per disoccupazione questo processo di rotazione continua” (Exposición de motivos). Scommettendo sulla stabilità e sulla formazione, considerate premesse indispensabili, la Riforma incide sul fatto che le imprese possano “competere sulla base di fattori quali la produttività, l’efficienza e il livello di formazione e qualificazione della manodopera, nonché la qualità dei loro beni e servizi e il loro grado di innovazione”. Si tratta, come si vede, dello stesso obiettivo indicato dalla Commissione europea nella proposta di Direttiva sul salario minimo nell’Unione europea.
Il principale obiettivo della Riforma, in coerenza con quanto sollecitato dall’Unione europea, è quello di far fronte alla temporalità, uno dei principali mali che colpisce il mercato del lavoro spagnolo (il 26,02% secondo Encuesta de Población Activa). La Riforma, quanto a tale obiettivo si ispira a diversi principi. Innanzitutto, recupera la formula – che era stata modificata dalla riforma del 1994 – della presunzione del contratto di lavoro qual contratto a tempo indeterminato. La disciplina del 2021, sotto questo profilo, segna una netta inversione di marcia rispetto ad una lunga tradizione – durata oltre trent’anni – che promuoveva, invece, il contratto a termine e che ha fatto della precarietà nel lavoro il segno distintivo del mercato di lavoro spagnolo. D’ora innanzi si afferma il principio secondo il quale il ricorso al contratto a tempo determinato dovrà avere i caratteri della causalità e dell’eccezionalità.
In coerenza con tale principio, la norma prevede soltanto due tipologie di contratto temporale: il primo di carattere strutturale e l’altro di carattere formativo.
Il contratto di lavoro strutturale è consentito solo in caso di determinate circostanze produttive o per esigenze di sostituzione dei lavoratori assenti. Conseguentemente, scompare il “contratto a termine per opera o servizio”, cioè il contratto che, in Spagna, aveva più d’ogni altro contribuito all’esplosione della temporalità. A seguito della Riforma, il ricorso al contratto di lavoro temporale (strutturale) sarà sempre causale, potrà avvenire in presenza di un “incremento occasionale e imprevedibile o di oscillazioni che, anche se trattandosi di attività normale dell’impresa, generano un disallineamento temporale tra l’impiego stabile disponibile e quello che si richiede”. La durata massima di questa tipologia contrattuale sarà di 6 mesi, ampliabile sino a 12 se previsto dal contratto collettivo di categoria. La norma prevede, inoltre, la possibilità per le imprese di “formalizzare contratti per circostanze produttive per far fronte a situazioni occasionali prevedibili e che abbiano una durata ridotta”, come le campagne di Natale o quelle agricole. La durata di questa sub tipologia contrattuale sarà di un massimo di 90 giorni all’anno, non consecutivi. La norma, peraltro, disincentiva il ricorso a tale contratto con la previsione di una maggiorazione del contributo previdenziale quando la durata di tale contratto sia inferiore ai 30 giorni. In ogni caso, “non potranno riconoscersi quali cause di ammissibilità la realizzazione di lavori nell’ambito di appalti, subappalti o concessioni amministrative che costituiscano l’attività abituale o ordinaria dell’impresa”. Tale ultima previsione ha l’evidente finalità di contrastare la pratica dell’esternalizzazione dell’attività produttiva dell’azienda.
La conversione in un contratto a tempo indeterminato è prevista nelle seguenti ipotesi: a) contratti a termine stipulati in assenza di una delle cause previste dalla legge; b) contratti che non rispettino gli obblighi contributivi; c) concatenazione di contratti “per lo stesso o diverso posto di lavoro con la stessa impresa o gruppo di imprese” durante diciotto messi in un periodo di ventiquattro.
Il contratto formativo, si articola in due differenti figure: a) il contratto in alternanza, riservato a chi svolge un’attività lavorativa durante il corso degli studi; b) il contratto finalizzato all’acquisizione di una qualifica professionale. La prima forma è consentita soltanto per lavoratori e lavoratrici di età inferiore ai 30 anni, potrà avere una durata minima di tre mesi ed una durata massima di due anni e la giornata lavorativa non potrà superare nel primo anno il 65% e nel secondo l’85% dell’orario ordinario.
Al fine di incentivare il ricorso all’assunzione a tempo indeterminato, viene disciplinato il contratto c.d. “fijo-discontinuo”. Si tratta di un contratto a tempo indeterminato – che garantisce la stabilità dei lavoratori interessati – nonostante la prestazione non sia continua durante tutto l’anno. Tale forma potrà essere utilizzata, ad esempio, per “la realizzazione di lavori di natura stagionale o vincolati a attività produttive stagionali”. Oltre ai lavori stagionali o intermittenti, la norma consente anche “la prestazione di servizi nell’ambito dell’esecuzione di appalti commerciali o amministrativi che, essendo prevedibili, formino parte dell’offerta della messa a disposizione da parte dell’attività ordinaria dell’impresa”. Tali contratti potranno far parte anche dell’offerta delle imprese di somministrazione.
Al fine di combattere la precarietà nel caso del lavoro esternalizzato, la riforma introduce alcune misure anche in materia di retribuzione. Sino ad ora, le imprese multiservizi, potevano fissare il salario sulla base del proprio contratto collettivo. D’ora in avanti, grazie a quanto stabilito dalla Riforma, dovranno in ogni caso rispettarsi i minimi salariali contenuti nel contratto collettivo dell’attività realizzata dall’appaltatore o subappaltatore. Se un’impresa, ad esempio, si avvale di prestazioni in subappalto, come potrebbero essere le pulizie o il supporto informatico, non potrà più applicarsi la disciplina prevista dal contratto collettivo dell’impresa principale – che potrebbe essere meno favorevole – bensì quella prevista dal contratto collettivo relativo al settore di attività.
In materia di contratto collettivo, la riforma del 2012 aveva limitato ad un solo anno l’ultrattività del contratto collettivo dopo la sua scadenza. La norma, fortemente controversa, costituiva un’evidente diminuzione del livello di protezione dei lavoratori, giacché, in mancanza di rinnovo del contatto collettivo, dopo 12 mesi potevano perdere i benefici contenuti nel contratto scaduto. La nuova norma stabilisce che il contratto collettivo, dopo la sua scadenza, continuerà ad aver vigore durante tutto il tempo della negoziazione del nuovo contratto senza più alcun limite temporale prefissato.
La Riforma prevede anche misure per facilitare l’uso degli Expedientes temporales de empleo (ERTEs) come formula alternativa e prioritaria al licenziamento collettivo. Inoltre, prevede un nuovo meccanismo permanente da utilizzare quale strumento di salvaguardia dell’occupazione nei momenti di crisi. Si tratta del Meccanismo RED di Flessibilità e Stabilizzazione dell’impiego attraverso il quale si cercherà di rafforzare il mantenimento dell’occupazione nelle imprese che richiedano, per fronte ad una situazione di crisi, una riduzione della giornata di lavoro o la sospensione dei contratti di lavoro. La norma prevede due modalità di RED: la ciclica, “di fronte ad una situazione macroeconomica generale che consigli l’adozione di strumenti addizionali di stabilizzazione”, con una durata di un anno; e la settoriale, “di fronte a cambiamenti permanenti che generino bisogni di riqualificazione e di processi di transizione professionale dei lavoratori”, con una durata massima di un anno e la possibilità di due proroghe di 6 mesi ognuna.
Il 28 dicembre 2021, il Consiglio di Ministri ha incorporato il testo dell’Accordo nel Decreto legge 32/2021, che raccoglie l’accordo tripartito relativo a misure urgenti per la riforma del lavoro, garanzia della stabilità nell’impiego e trasformazione del mercato di lavoro. Il giorno seguente, il 29 dicembre 2021, la Gazzetta ufficiale spagnola (BOE) ha pubblicato la legge n. 20/2021, intitolato: misure urgenti per la riduzione della temporalità nell’impiego pubblico. Il tasso di temporalità nell’impiego pubblico, in Spagna, supera persino quello dell’impiego privato. Il fenomeno è conseguenza delle politiche di riduzione della spesa pubblica e dell’organico stabile nell’Amministrazione adottate durante la crisi 2010-2013. Si tratta della riduzione dei posti di lavoro pubblici mediante la norma che, all’inizio della crisi, prevedeva la non sostituzione dei lavoratori in uscita; in seguito, la sostituzione dei lavoratori in uscita è stata consentita, ma sempre e solo per una percentuale inferiore al 100% delle uscite. Un altro fattore di riduzione dell’organico è dovuto all’esternalizzazione di una parte dei servizi pubblici, talora posto in essere con modalità indecorose, come nei settori della sanità. dell’educazione e della giustizia.
Al fenomeno, nell’ambito del Pubblico Impiego, per ovvi motivi, non poteva porsi rimedio con la mera previsione della trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato. Pertanto, si è giunti ad un Accordo tra il Governo e i sindacati rappresentativi nell’impiego pubblico che si pone l’obiettivo di “rafforzare il carattere temporale della figura del personale temporale; chiarire le procedure di accesso alla condizione di personale temporale; stabilire le cause di cessazione di tale personale e implementare un regime di responsabilità che costituisca un meccanismo proporzionato, efficace e dissuasivo di futuri inadempimenti”. Tale obiettivo dovrebbe essere conseguito grazie ad alcuni strumenti indicati dalla nuova disciplina: a) riduzione della durata massima dei rapporti di lavoro di temporale con la previsione di un limite massimo di tre anni; b) riduzione delle fattispecie che consentano il ricorso al lavoro temporale; c) definizione di una specifica modalità di selezione di tale personale, differente da quello applicabile ai lavoratori da assumere in pianta stabile. Si ricordi, che il personale pubblico temporale è quello che, “per ragioni espressamente giustificate di necessità e urgenza”, è nominato per lo sviluppo di funzioni proprie del personale funzionario di carriera.
Grazie a tali misure, si auspica di riuscire a definire questa categoria sulla base di un carattere rigorosamente temporale, ciò al fine di evitare che posti di lavoro che abbiano il carattere della stabilità vengano coperti facendo ricorso all’assunzione di lavoratori precari. La norma prevede anche, in caso di assunzione disposta fuori dai casi indicati dalla legge, la nullità del contratto ed il diritto del lavoratore a percepire a un’indennità corrispondente a 20 giorni di lavoro per anno di servizio. La disposizione è accompagnata da norme che, parallelamente, prevedono processi di stabilizzazione nell’impiego pubblico. Anche tale norma, in definitiva, risulta coerente con l’obiettivo, contenuto nella menzionata riforma del lavoro, di favorire la stabilità dell’impiego pubblico e ridurre la temporalità.
Una prima valutazione della Riforma del lavoro da parte della dottrina spagnola è decisamente positiva. Si ritiene che sia il risultato di un insieme di proposte coerenti e con buone prospettive per il futuro del mercato di lavoro spagnolo che scommette per un modello di flessicurezza socialmente responsabile (Jesús Cruz Villalón, Una reforma estructural con futuro, El País). Il fatto, poi, che la Riforma sia frutto del dialogo sociale, che le parti siano dimostrate capaci di pervenire ad un accordo di così ampia portata, denota l’esistenza, in Spagna, di un modello sociale democratico, avanzato e maturo (Jesús Mercader e Ana de la Puebla, La Reforma Laboral de 2021: elogio de la sensatez, El foro de Labos).
Link al Decreto 32/2021: https://www.boe.es/boe/dias/2021/12/30/pdfs/BOE-A-2021-21788.pdf