Silvia Rainone
European Trade Union Institute (ETUI) and KU Leuven researcher
30 novembre 2021
Il 2 settembre 2021 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha emesso la pronuncia che conclude il procedimento ‘EPSU vs Commissione Europea’. La vicenda merita particolare attenzione, perché questa sentenza tocca un aspetto cruciale per il dialogo sociale europeo, e potrebbe averne rideterminato le prospettive.
In questo contributo, si vuole definire la questione giuridica esaminata dalla Corte di Giustizia e illustrarne le importanti ramificazioni, non solo per il ruolo delle parti sociali nella definizione dell’acquis comunitario in materia di norme sul lavoro, ma anche, da un punto di vista più ampio, per l’assetto istituzionale dell’Unione.
Il contesto (1): l’accordo quadro tra TUNED e EUPAE
EPSU è la federazione sindacale europea dei lavoratori dei servizi pubblici (European Federation of Public Services Unions) ed è un’associazione che riunisce diversi sindacati nazionali che rappresentano i lavoratori dei servizi pubblici. Assieme alla Confederazione europea dei sindacati indipendenti (CESI), EPSU ha creato la Delegazione sindacale dell’amministrazione nazionale ed europea (TUNED).[1] TUNED ha la funzione di rappresentare EPSU e CESI al tavolo negoziale creato in seno all’Unione, il Social Dialogue Committee for Central Government Administration, per la definizione di accordi quadro con la rispettiva controparte, EUPAE,[2] che rappresenta a livello dell’Unione i datori di lavoro della pubblica amministrazione.
Nel 2015 il negoziato tra EUPAE e TUNED aveva portato alla sottoscrizione di un accordo quadro che attribuiva ai lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche governative il diritto all’informazione e consultazione, da esercitare tramite i loro rappresentanti nelle stesse amministrazioni governative. Questo accordo permetteva di colmare un vulnus normativo che vedeva i lavoratori del settore pubblico fino a quel momento esclusi dal diritto fondamentale all’informazione e consultazione, peraltro sancito anche nell’articolo 27 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Questa incongruenza normativa era già stata evidenziata dalla Commissione Europea che, pochi mesi prima della conclusione dell’accordo tra EUPAE e TUNED, aveva avviato una consultazione con le parti sociali ai sensi dell’articolo 154 TFEU in cui si chiedeva di valutare l’opportunità di consolidare le norme EU su informazione e consultazione da estendere anche ai lavoratori del settore pubblico.
Una volta sottoscritto l’accordo quadro, EUPAE e TUNED hanno deciso di avvalersi della facoltà prevista all’articolo 155 par 2. TFUE, secondo cui gli accordi conclusi a livello dell’Unione possono essere attuati, a richiesta congiunta delle parti firmatarie, per mezzo di una decisione del Consiglio su proposta della Commissione. Questa opzione, di fatto, consente ad un accordo quadro negoziato dalle parti sociali di essere incorporato, tramite un atto deliberatorio del Consiglio (‘la decisione’), in uno strumento legislativo (direttiva) e, quindi, di assumere natura vincolante erga omnes. L’attuazione per via legislativa rappresenta una delle due possibilità consentite dal TFUE, in quanto l’articolo 155 par. 2 indica che le parti sociali possono anche decidere di dare attuazione all’accordo ‘secondo le procedure e le prassi proprie delle parti sociali e degli Stati Membri’. Tuttavia, ed è forse superfluo menzionarlo, se si sceglie di perseguire questa strada, l’accordo non avrà la valenza vincolante delle norme legislative dell’Unione e quindi presumibilmente avrà una pregnanza minore. È evidente che, per le parti firmatarie, la facoltà di ottenere un’implementazione per via legislativa rappresenta un forte incentivo a sedersi al tavolo negoziale nel contesto del cosiddetto ‘dialogo sociale europeo’. In questo caso, infatti, le associazioni sindacali e datoriali assumono un ruolo di fatto regolamentare rispetto alla definizione delle norme riguardanti le politiche del lavoro e sociali.
Il grande potenziale del dialogo sociale, specie quando supportato da implementazione legislativa, per l’arricchimento del corpo del diritto del lavoro europeo è dimostrato dalle direttive che danno attuazione a tre diversi accordi quadro negoziati tra confederazione sindacale europeo e corrispettive associazioni datoriali, rispettivamente sul tempo parziale,[3] sul lavoro a tempo determinato[4] e sul congedo parentale.[5] Sebbene queste siano le direttive di implementazione degli accordi quadro più note, in quanto concluse da associazioni interconfederali, vi sono anche esempi di attuazione legislativa di accordi settoriali, il che significa che l’iniziativa di EUPAE e TUNED solcava un terreno già sondato.[6]
Il contesto (2): il rifiuto della Commissione Europea
Il 2 febbraio 2016 EUPAE e TUNED sottoponevano quindi il loro accordo quadro alla Commissione europea. Per due anni la Commissione tace, poi, quando siamo già al 6 marzo 2018, informa le parti sociali di aver scelto di non proporre al Consiglio una decisione per dare implementazione legislativa all’accordo. A giustificare questo rifiuto, la Commissione imbastiva una valutazione telegrafica ed essenzialmente basata su ragioni di merito, che sottolineava come l’accordo toccasse aspetti sottoposti all’esercizio del potere dell’autorità pubblica e non tenesse conto del fatto che le amministrazioni pubbliche dei vari Stati membri presentano diversi gradi di decentralizzazione. Ciò, secondo la Commissione, avrebbe comportato un livello di protezione disomogeneo, avendo le parti sociali stipulato solo norme riguardanti le amministrazioni governative.
Si trattava, sostanzialmente, di una valutazione negativa sull’appropriatezza del contenuto dell’accordo.
La decisione della Commissione di non sottoporre l’accordo al Consiglio implicava che tale accordo non avrebbe conosciuto attuazione legislativa. L’altra opzione predisposta dall’Articolo 155 par. 2 TFEU, quella dell’implementazione tramite le pratiche di relazioni industriali dei vari Stati Membri, rimaneva percorribile, anche se inadatta ad attribuire forza vincolante alle norme negoziate dalle parti sociali. Ma, oltre a causare una battuta d’arresto in merito all’attuazione di questo specifico accordo, la risposta della Commissione aveva ancor di più l’effetto di disincentivare l’avvio di futuri tavoli negoziali da parte delle parti sociali. Fondando la propria valutazione su ragioni di appropriatezza, la Commissione aveva di fatto privato il dialogo sociale di quelle componente normativa che, soprattutto negli anni 1990s e 2000s, aveva costituito un importante fatto di impulso per le associazioni datoriali e sindacali alla negoziazione di possibili accordi.
Questa disincentivazione alimentava ulteriormente il clima di sfiducia che era già emerso tra le parti sociali di livello europeo in seguito ad un precedente rifiuto, altrettanto discrezionale, della Commissione a trasmettere al Consiglio un accordo quadro sulla salute e sicurezza nel settore dell’acconciatura ed estetica.
È legittimo chiedersi, a questo punto, che ne fosse della peculiarità del dialogo sociale europeo e del ruolo privilegiato – quasi regolamentare – delle parti sociali, se la Commissione europea aveva la facoltà di opporsi in maniera arbitraria all’attuazione legislativa degli accordi quadro?
Nel tentativo di ostacolare quest’erosione delle prerogative delle associazioni sindacali e datoriali nella definizione dell’acquis comunitario in materia di lavoro, il sindacato federale EPSU decideva di intraprendere la via giudiziaria, chiedendo al Tribunale dell’Unione Europea di annullare la decisione della Commissione che bloccava l’attuazione legislativa dell’accordo quadro concluso da EUPAE e TUNED.
La questione giuridica
Prima di passare alla vicenda giudiziaria, è importante inquadrare la complessità della questione giuridica che EPSU sottoponeva al Tribunale dell’Unione Europea. Il primo punto di diritto da dirimere risponde alla domanda se la Commissione potesse effettivamente obiettare alla richiesta delle parti sociali di sottoporre l’accordo quadro da loro sottoscritto al Consiglio, così che questo potesse poi darne attuazione legislativa. Il secondo punto considera invece la natura del controllo che la Commissione avrebbe eventualmente potuto svolgere.
Come anticipato, la norma di riferimento è l’articolo 155 par. 2 del TFUE, che semplicemente indica che: ‘Gli accordi conclusi a livello dell’Unione sono attuati secondo le procedure e le prassi proprie delle parti sociali e degli Stati membri o, nell’ambito dei settori contemplati dall’articolo 153, e a richiesta congiunta delle parti firmatarie, in base ad una decisione del Consiglio su proposta della Commissione. Il Parlamento europeo è informato.’
La carenza di indicazioni in merito ad uno scrutinio dell’accordo parrebbe supportare la tesi secondo cui la Commissione non ha facoltà di opporsi alla richiesta delle parti sociali. Il fatto che l’articolo 155 TFUE preveda la presenza di una ‘proposta della Commissione’ può essere interpretato come una sorta di escamotage per assicurare il rispetto formale del principio, stabilito all’articolo 17 TUE, secondo il quale un atto legislativo dell’Unione può essere adottato solo su proposta della Commissione, salvo che i trattati non dispongano diversamente. Questa lettura consentirebbe al dialogo sociale a livello dell’Unione di conservare la sua connotazione normativa e di preservare il ruolo delle parti sociali in qualità di rappresentanti primari degli interessi che sottendono al mondo del lavoro. Tutto ciò parrebbe anche in linea con il riconoscimento della funzione cruciale del dialogo sociale per il perseguimento del modello socio-economico a cui l’Unione aspira – quello di un’economia sociale di mercato.[7]
Al contempo, però, il mancato ricorso, da parte dei redattori del Trattato, ad una formula prescrittiva introduce scomodi elementi di ambiguità. Il testo indica che ‘Gli accordi […] sono attuati […]’, e non ‘devono essere attuati […]’, e questo potrebbe essere compatibile con la volontà di attribuire alla Commissione la possibilità, e non l’obbligo, di avviare l’iter legislativo per l’implementazione degli accordi quadro. Se si adotta questa lettura, il ruolo delle parti sociali finisce per essere ridotto a quello di meri interlocutori della Commissione, la quale in definitiva mantiene ampia discrezionalità nel valutare se e come legiferare in materia di lavoro e politiche sociali. Il dialogo sociale perderebbe perciò quella specifica componente di normatività che, come già menzionato, ne ha favorito l’attrattività e il successo, specialmente negli anni 1990s e primi 2000s.
A ben vedere, tuttavia, le difficoltà interpretative legate alla lettera dell’articolo 155 TFUE sono state parzialmente risolte dalla Commissione stessa, con una serie di comunicazioni pubblicate nel corso degli anni. In questi documenti programmatici, la Commissione ha composto una serie di norme di condotta tese a circoscrivere i margini della propria discrezionalità in materia di controllo sugli accordi quadro sottoposti dalle parti sociali.
Come già illustrato altrove, dall’analisi di queste comunicazioni si evince che:
- La Commissione ha facoltà di effettuare un controllo sugli accordi presentati dalle parti sociali, e l’estensione di questo controllo dipende dal tipo di accordo concluso.
In particolare, in una Comunicazione del 1998, si chiariva che gli accordi quadro che scaturiscono da un processo consultativo ai sensi dell’articolo 154 par. 4 TFUE devono essere sottoposti ad un controllo in merito a tre elementi: 1) la rappresentatività delle parti contraenti; 2) la compatibilità delle norme inserite nell’accordo rispetto al diritto dell’Unione; 3) l’assenza di eccessivi oneri per le piccole e medie imprese. In questo caso, infatti, si presume che la Commissione avesse già indirettamente espresso un’opinione favorevole riguardo all’opportunità di adottare un atto legislativo al momento dell’avvio della consultazione con le parti sociali. Invece, se gli accordi quadro sono accordi ‘autonomi’ stipulati ai sensi dell’articolo 155 par. 1 TFUE, ovvero conclusi al di fuori di una procedura di consultazione di cui all’articolo 154 TFUE, la Commissione è tenuta anche a svolgere una valutazione sul merito e l’appropriatezza.
Nel caso dell’accordo tra EUPAE e TUNED, pare evidente la riconducibilità alla prima delle due situazioni delineate. Si è infatti menzionato che le parti sociali hanno negoziato l’accordo in seguito all’avvio di un processo consultativo con cui la Commissione, ai sensi dell’articolo 154 par 2 TFUE, portava alla luce l’opportunità di estendere il diritto all’informazione e consultazione anche ai lavoratori del settore pubblico.
- Con un’ulteriore comunicazione del 2015 la Commissione espandeva ulteriormente i confini del proprio scrutinio. Si stabiliva che anche gli accordi quadro scaturiti dal processo consultativo di cui all’articolo 154 par. 2 TFUE possono essere sottoposti ad una valutazione sul merito, a meno che la Commissione stessa non si fosse già in precedenza pronunciata, mediante documenti programmatici o ‘impact assessment’, in favore dell’adozione di strumenti legislativi nella materia affrontata dall’accordo.
Nonostante quest’allargamento della sfera discrezionale della Commissione implichi una notevole compressione dell’autonomia delle parti sociali, l’accordo quadro concluso da EUPAE e TUNED dovrebbe uscirne indenne. Nel periodo precedente alla sottoscrizione dell’accordo, la Commissione aveva infatti pubblicato almeno due documenti programmatici (tra cui un ‘fitness check’), in cui faceva espresso riferimento all’opportunità di allargare l’ambito di applicazione dei diritti di informazione e consultazione ai lavoratori della pubblica amministrazione.
La vicenda giudiziaria
Nel 2019 EPSU procede ad azione giudiziaria chiedendo al Tribunale dell’Unione di riconoscere, nell’ambito delle attività della Commissione, la natura di obbligo (e non di facoltà) a presentare al Consiglio l’accordo quadro in questione e quindi ad avviarne l’attuazione legislativa. Tra i vari argomenti forniti nel ricorso, oltre agli elementi sopra richiamati, EPSU faceva riferimento al fatto che la procedura di cui all’articolo 154 par. 2 TFUE è da considerarsi una lex specialis, che quindi prevale sulla regola generale per cui la Commissione detiene il potere esclusivo di iniziativa legislativa. EPSU portava altresì all’attenzione dei giudici che il dialogo sociale deve poter avvenire nel rispetto dell’autonomia delle parti sociali, che è elemento essenziale per preservare la componente democratica del processo legislativo.
Nonostante ciò, con una pronuncia di settembre 2019, il Tribunale valutava che la Commissione aveva agito nel rispetto delle proprie competenze e rigettava l’azione di EPSU. Non vi è qui spazio per discutere in maniera completa le motivazioni della sentenza, ma è comunque importante evidenziare come l’intera decisione sia caratterizzata da un approccio interpretativo che non tiene conto della ratio del dialogo sociale a livello dell’Unione e di quanto la sua componente normativa costituisse un aspetto fondamentale per il suo funzionamento. Il Tribunale sceglieva essenzialmente di focalizzarsi su come il controllo sull’appropriatezza degli accordi quadro sia necessario al fine di consentire alla Commissione di mantenere il proprio potere di iniziativa legislativa e, tramite esso, di promuovere l’interesse generale dell’Unione. Nel fare ciò, però, il Tribunale trascurava che, nell’area del diritto del lavoro, le parti sociali sono in una posizione privilegiata rispetto alla Commissione per portare avanti gli interessi socio-economici coinvolti, in quanto, semplicemente, li rappresentano.
EPSU decideva di proporre ricorso d’appello davanti alla Corte di Giustizia, così espletando il secondo e ultimo grado di giudizio presso le autorità giurisdizionali dell’Unione. Ma con lo stesso esito, perché nel settembre 2021 la Corte di Giustizia rigettava la totalità delle argomentazioni proposte da EPSU a sostegno della propria domanda di riformare la decisione di primo grado.
Sostanzialmente, la Corte di Giustizia sosteneva che l’Articolo 155 par. 2 TFUE non ostasse al controllo di merito della Commissione sull’accordo quadro concluso da EUPAE e TUNED e che la valutazione negativa in merito all’appropriatezza di tale accordo fosse legittima.
Se la decisione della Corte ricalcava largamente quella del Tribunale, occorre tuttavia evidenziarne ulteriormente alcuni passaggi, in quanto gravemente limitativi per il dialogo sociale europeo, avendo minato sostanzialmente il ruolo regolamentare delle associazioni sindacali e datoriali quali principali attori in materia di lavoro.
- Par. 46: Nel ribadire che, anche nel contesto dell’articolo 155 par 2 TFEU, l’iniziativa legislativa spetta esclusivamente alla Commissione, la Corte paragona il ruolo delle parti sociali a quello che gli articoli 225 e 241 TFUE attribuiscono al Parlamento e al Consiglio. Tali norme consentono al Parlamento e al Consiglio di adottare proposte di atti legislativi del tutto prive di valore vincolante e per lo più inefficaci nell’influenzare l’agenda politica della Commissione.
- Par. 62: Il principio per cui le parti sociali devono poter godere di una piena autonomia nell’espletamento del dialogo sociale si applica esclusivamente alla fase delle negoziazioni degli accordi quadro. Per la Corte di Giustizia, dunque, questo non pregiudica il fatto che la Commissione è libera di decidere di non percorrere la strada dell’attuazione legislativa dell’accordo.
- Par. 96: In merito alla possibilità di contestare l’esito della valutazione della Commissione in merito all’appropriatezza degli accordi quadro, la Corte afferma che si deve tener conto di come tale valutazione abbia una natura complessa e possa quindi essere sottoposta ad un controllo giudiziario solo in merito al rispetto degli elementi formali e procedurali. Nel caso dell’accordo EUPAE e TUNED, la Corte osserva come la Commissione abbia correttamente adempiuto al dovere di giustificare il proprio rifiuto.
- Par. 129: Infine, la Corte considera che la Commissione non abbia violato le legittime aspettative che le proprie comunicazioni (tra cui alcune menzionate nei passaggi precedenti di questo contributo) avevano creato in capo alle parti sociali. E ciò in quanto la Corte non rinviene che in tali comunicazioni la Commissione si fosse assunta un impegno esplicito e univoco tale da determinare un limite all’esercizio delle proprie competenze.
Al netto di queste motivazioni, quanto più rileva è l’effetto giuridico, oltre che politico, di questa sentenza, efficacemente condensato nel paragrafo 98: ‘come è giustamente rilevato dal Tribunale al punto 79 della sentenza impugnata, la Commissione, quando riceve dalle parti sociali interessate una richiesta per l’attuazione, a livello dell’Unione, di un accordo siffatto, deve valutare anche l’opportunità, alla luce segnatamente di considerazioni di ordine politico, economico e sociale, dell’eventuale attuazione di tale accordo a livello dell’Unione.’
Implicazioni per il dialogo sociale europeo
La sentenza EPSU pare non essere solo il risultato di un’analisi meramente giuridica dei trattati, ma anche il frutto di una scelta ermeneutica ben precisa. È infatti plausibile che, in considerazione dell’ambiguità che pervade l’articolo 155 par. 2 TFUE, la Corte (così come anche il Tribunale) avrebbe potuto ugualmente dar luce ad una pronuncia nel senso opposto. Una lettura congiunta del diritto primario dell’Unione e dei vari documenti programmatici della Commissione in materia di dialogo sociale avrebbe consentito alla Corte di rilevare l’illegittimità del controllo discrezionale e politico sul merito degli accordi quadro – specie se negoziati nel contesto di un procedimento di consultazione avviato dalla stessa Commissione ai sensi dell’articolo 154 par 4 TFUE. Così facendo, la Corte avrebbe potuto arginare l’erosione del ruolo normativo delle parti sociali rispetto alla definizione del diritto del lavoro e avrebbe contribuito a riallineare il dialogo sociale con gli obiettivi e le ambizioni dell’Unione in ambito sociale.
Invece l’effetto, non necessariamente previsto, della scelta interpretativa della Corte di Giustizia ha ulteriormente marginalizzato il ruolo del dialogo sociale nell’architettura istituzionale dell’Unione. Questa sentenza finisce, infatti, per assecondare una percezione del dialogo sociale non più primariamente ancorato al perseguimento degli interessi rappresentati dalle parti sociali, bensì come strumento per lo più informale e consultativo, essenzialmente funzionale al perseguimento dell’agenda legislativa della Commissione. L’espansione del controllo politico rispetto agli accordi conclusi dalle associazioni datoriali e sindacali era già emersa durante il periodo delle Presidenze Barroso e Juncker, come risulta dalle comunicazioni sopra commentate. Ma non solo, ve ne è traccia anche nel Pilastro europeo dei diritti sociali, su cui la Commissione ritiene di potersi basare per rafforzare la dimensione sociale dell’Unione. Il Principio 8 del Pilastro, invero, oltre ad affermare che ‘le parti sociali […] sono incoraggiate a negoziare e concludere accordi collettivi negli ambiti di loro interesse, nel rispetto della propria autonomia e del diritto all’azione collettiva’, indica che ‘Ove del caso, gli accordi conclusi tra le parti sociali sono attuati a livello dell’Unione e dei suoi Stati membri’.[8]
Insomma, l’epilogo della vicenda EPSU è amaro: l’Unione si impegna quasi sempre a valorizzare il dialogo, ovvero tranne quando la Commissione ritiene che non sia appropriato.
[1]Trade Unions’ National and European Administration Delegation
[2]European Public Administration Employers
[3] Direttiva 97/18/CE del Consiglio del 15 dicembre 1997 relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES.
[4]Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato.
[5]Direttiva 96/34/CE del Consiglio, del 3 giugno 1996, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES.
[6]Direttiva 2010/32/UE del Consiglio del 10 maggio 2010 che attua l’accordo quadro, concluso da HOSPEEM e FSESP, in materia di prevenzione delle ferite da taglio o da punta nel settore ospedaliero e sanitario.
[7]Articolo 2 TUE; Articolo 151 e 152 TFUE.
[8] Il testo è ancora più eloquente nella sua formulazione inglese, in cui recita: ‘Where appropriate, agreements concluded between the social partners shall be implemented at the level of the Union and its Member States’.