La direttiva sul lavoro da piattaforma digitale: dinamiche negoziali e scenari futuri

Silvia Righi

Assistente parlamentare dell’On. Elisabetta Gualmini, relatrice al PE della direttiva sul lavoro da piattaforma digitale, e Dottoressa in Diritto dell’UE

26 aprile 2024

Questa direttiva riguarda, sulla carta, secondo le stime che erano state pubblicate dalla Commissione europea insieme alla proposta legislativa alla fine del 2021, almeno 28 milioni di lavoratori. Di questi, almeno 5 milioni e mezzo sarebbero falsi autonomi e le stesse stime prevendono che il numero totale raggiunga entro il 2025 i 43 milioni.

Si tratta quindi con tutta evidenza di un fenomeno significativo e in rapida espansione, la cui portata risulta più chiara se si pensa che queste cifre, come pure il rapporto tra falsi autonomi e il totale, erano (e sono tutt’ora) probabilmente molto sottostimate. I tipi di lavoro che rientrano tra quelli cosiddetti da piattaforma digitale non sono infatti solo quelli a cui tutti immediatamente pensiamo – gli autisti di Uber o i ciclofattorini – poiché la realtà di riferimento è molto più ampia. Questo vale certamente per ciò che riguarda il lavoro cosiddetto “on location”, visibile, come ad esempio, oltre a coloro che ho appena nominato, i lavoratori delle pulizie (c’è una piattaforma di lavoro digitale molto grande nel nord Europa di nome Helpling che permette la prenotazione di operatori delle pulizie a domicilio), o i professionisti della cura. Ma, soprattutto, vale per tutto il mondo del lavoro da piattaforma digitale on line (consulenti di ogni tipo o persone che lavorano su microtask, assegnate anche via crowdwork), che è molto vasto e molto poco tracciato. Infatti, uno dei problemi che ha avuto la Commissione nel preparare la valutazione d’impatto della proposta è stato proprio quello di avere una mappatura adeguata del fenomeno.

Già queste prime considerazioni chiariscono la necessità di un intervento legislativo in materia, ma ciò assume un carattere di ulteriore urgenza a fronte della pervasività e dei pericoli connessi alla diffusione di questo modello di business. Esso rischia infatti di “invadere” l’economia tradizionale, trasfigurandone i meccanismi di regolazione al punto da mettere a rischio il modello sociale europeo. L’anno scorso lo stesso centro di ricerca della Commissione europea ha pubblicato un paper intitolato “The platformization of work” che indica proprio il fatto che il fenomeno del lavoro tramite piattaforma digitale è suscettibile di espandersi virtualmente in ogni settore dell’economia. Nel momento in cui il lavoro tramite piattaforma digitale permette, in mancanza di regolamentazione, di trasformare lavoratori dipendenti in falsi autonomi (eliminando quindi le tutele legate alla subordinazione), il rischio risulta evidente. Non a caso, negli Stati Uniti – è uscito un articolo sul New York Times lo scorso gennaio – sono già presenti diverse piattaforme attraverso le quali vengono impiegati camerieri, cuochi e baristi, che sono qualificati come lavoratori autonomi, come imprenditori. La platformizzazione del lavoro (e dell’economia) è un fenomeno che deve essere assolutamente compreso e regolato in modo da evitare che porti, in tempi nemmeno troppo lunghi, alla distruzione dell’economia e del modello di welfare europei.

Introducendo brevemente il contenuto della direttiva, prima di passare all’esposizione delle dinamiche negoziali che ne hanno caratterizzato l’adozione, due sono gli obiettivi principali. Il primo è quello di combattere il falso lavoro autonomo nella gig economy e in particolare nel lavoro da piattaforma digitale, il secondo è quello di creare un insieme di regole per la gestione algoritmica nel momento in cui l’intelligenza artificiale viene di fatto usata in sostituzione del management. Un terzo obiettivo può essere identificato nella trasparenza sulla diffusione e la presenza del lavoro da piattaforma negli Stati membri, che – come detto prima – oggi è difficilmente tracciabile in modo preciso.

Ho voluto sottolineare la distinzione tra gli obiettivi perché di fatto i pattern negoziali su questi diversi aspetti sono stati parzialmente differenti, e ciò è risultato evidente già a partire dal negoziato interno al Parlamento europeo.

Negoziato interno al Parlamento europeo

Innanzitutto, va ricordato che la Commissione Lavoro e Affari sociali, in cui è stato discusso il dossier, ha una composizione particolare: i deputati che ne fanno parte sono infatti particolarmente attenti e sensibili alla protezione sociale e ai diritti dei lavoratori. Capita non di rado che le maggioranze che si formano in questa commissione siano più difficili da mantenere in plenaria – in questo senso è possibile fare un parallelo, soprattutto rispetto all’ultima legislatura, con la Commissione Ambiente. Questo vale per tutti i gruppi politici, e, in particolare, nel caso della direttiva, molto positivo e collaborativo è stato il contributo del relatore ombra dei popolari europei, un tedesco (a dispetto della posizione della Germania in Consiglio) con un passato nel sindacato.

Il mandato negoziale che il Parlamento aveva licenziato a febbraio del 2023 rispecchiava quindi la “sensibilità sociale” della Commissione Lavoro e introduceva una presunzione di vincolo di subordinazione (lo strumento principe per identificare e correggere il falso lavoro autonomo) molto forte ed efficace. Per contrastare questo approccio così deciso, già in quella prima fase, è stata diffusa una narrativa – completamente falsa – che bollava il meccanismo come portatore, nei fatti, di una riclassificazione automatica di ogni lavoratore da piattaforma in lavoratore autonomo. A riprova di quanto ciò non fosse vero e di quanto il meccanismo previsto dal testo fosse invece utile ed efficace, esso era fortemente sostenuto da associazioni di lavoratori autonomi che, proprio in concomitanza con il voto in Parlamento, hanno inviato ai parlamentari alcune e-mail con le quali chiedevano di approvare il testo contenente la presunzione più forte possibile. Questo infatti avrebbe impedito alle piattaforme di limitare la loro reale autonomia inserendo elementi di subordinazione de facto nell’organizzazione del lavoro. Il mito del pericolo che la presunzione di vincolo di subordinazione – sempre ribaltabile – avrebbe costituito per i lavoratori (genuinamente) autonomi è quindi un falso mito, ma l’attività di lobbying portata avanti dalle piattaforme di lavoro digitale su questo file è stata veramente intensissima – dentro al e fuori dal Parlamento.

I gruppi politici che maggiormente si opponevano ad un testo ambizioso in sede di negoziato parlamentare erano quello dei liberali di Renew (per l’Italia ne fanno parte Italia Viva e Azione) e, in modo molto netto e forte, quello dei conservatori e riformisti di ECR (di cui è Presidente Giorgia Meloni) – va sottolineato che gli italiani di entrambi i gruppi hanno sostenuto in aula il testo della relatrice. A ben guardare, questo pattern rispecchia a grandi linee quanto avveniva anche in Consiglio. Ancora, una situazione molto particolare si è verificata in riferimento agli eurodeputati francesi: i due opposti estremi, cioè i rappresentanti del partito di Melanchon e quelli del partito di Marine Le Pen, hanno votato entrambi a favore del mandato negoziale (oggettivamente molto ambizioso sotto il profilo di entrambi gli obiettivi che richiamavo prima). Ciò ha contribuito fortemente a far sì che anche gli esponenti del partito di Macron – che pure in Consiglio ha fortemente osteggiato la direttiva fino alla fine – chiusi in una tenaglia, abbiano deciso di esprimersi favorevolmente. Il testo che ha costituito il mandato negoziale del Parlamento è stato quindi stato approvato con i voti contrari di esponenti del gruppo di ECR, di Renew e di parte dei popolari.

Il negoziato interno al Consiglio

In contemporanea, il negoziato in Consiglio si è rivelato più lungo. Il dibattito sul dossier è stato impostato dalla presidenza francese, cui è succeduta quella ceca che, nonostante gli sforzi, non è riuscita, nel dicembre 2022 a trovare la maggioranza su un testo comune. Hanno invece avuto successo gli svedesi nel giugno 2023 (4 mesi dopo il PE quindi), introducendo unicamente qualche piccola modifica al testo di dicembre. Non stupiscono quindi le dichiarazioni annesse al supporto del mandato (di segno opposto), che mostrano plasticamente come l’approvazione fosse frutto essenzialmente della volontà di iniziare il negoziato con il Parlamento, ma mancasse una reale visione comune tra gli Stati membri.

Il negoziato interistituzionale

Lo scorso luglio è iniziato il negoziato interistituzionale. È emerso subito in modo evidente che la distanza tra i testi delle due istituzioni sulla parte relativa allo status occupazionale, quindi alla presunzione del vincolo di subordinazione, era elevatissima. Mentre invece per quello che riguarda la parte sulla gestione algoritmica, e – in misura simile – anche quella sulla trasparenza dell’attività delle piattaforme di lavoro digitale, Parlamento e Consiglio avevano un’intenzione comune, seppur con gradi di intensità e avanzamento decisamente maggiore da parte del Parlamento. Da qui i due diversi pattern negoziali, che evidenziavo già all’inizio dell’intervento.

Entrambi i mandati negoziali affrontavano poi, in modo parzialmente differente, il tema degli intermediari, che era invece completamente assente nella proposta della Commissione, e che si ritrova nel testo dell’accordo finale. L’esperienza spagnola ha infatti mostrato che le piattaforme avevano tentato di aggirare la normativa nazionale sui rider (approvata dal governo Sanchez nel 2021) proprio facendo ricorso ad intermediari, quali, ad esempio, le agenzie di lavoro interinale. 

Come detto, il nodo più difficile da sciogliere durante il negoziato interistituzionale è stato quello sulla presunzione del vincolo di subordinazione e alla difficoltà ha contribuito anche il modo in cui il meccanismo era stato inizialmente disegnato dalla Commissione europea. Il testo della proposta legislativa lo rendeva infatti una via di mezzo tra un meccanismo di presunzione ed una riclassificazione immediata – perché immediati, alla sua applicazione, erano i diritti e gli obblighi legati alla subordinazione in capo alle parti, fino ad eventuale prova contraria. Ciò aveva anche permesso l’ingenerarsi di quella confusione, utilizzata poi in modo fortemente strumentale nei confronti del testo licenziato dal PE (che invece non prevedeva questa commistione, rimandando la creazione di diritti ed obblighi in capo alle parti al momento dell’accertamento dello status occupazionale), che dipingeva la presunzione come “riclassificazione automatica”; la stessa confusione che aveva portato il Consiglio, nel suo testo, a stringere enormemente le maglie per l’applicazione del meccanismo.

In questa situazione, la relatrice per il PE, Elisabetta Gualmini, ha insistito per affrontare la questione già durante il primo trilogo (round negoziale interistituzionale). Il rischio per il team del Parlamento era infatti quello di non aver tempo a sufficienza per chiudere il file entro la legislatura in modo soddisfacente, e di ritrovarsi eventualmente spalle al muro e dover scegliere tra il rischio di perdere il momentum per l’adozione della direttiva ed averne una non soddisfacente sotto il profilo – fondamentale – della lotta al falso lavoro autonomo.

Invece, il negoziato con la Presidenza spagnola ha portato a chiudere un primo accordo tra le due istituzioni già lo scorso dicembre: nonostante i significativi passi compiuti dal Parlamento verso il Consiglio, il testo prevedeva l’introduzione di una presunzione uniforme per tutta l’Unione e disegnava un meccanismo saldo ed efficace. Tanto efficace, che non ha superato il vaglio del Coreper (il comitato dei rappresentati permanenti, i diplomatici espressione degli Stati membri); la Presidenza, percependo l’assenza di una maggioranza qualificata a favore, ha infatti persino evitato di mettere il testo al voto. Se questo fosse stato ufficialmente rigettato, infatti, sarebbe stato più difficile continuare il negoziato su quella base anche con riferimento agli altri punti del testo. Durante la riunione del Coreper del 22 dicembre, la Presidenza spagnola ha comunque invitato gli Stati ad esprimersi, raccogliendo – accanto a quelli di supporto – una dozzina di interventi critici. Si trattava di Francia (alla guida dell’opposizione), Paesi baltici, Svezia, Grecia, Repubblica Ceca, Ungheria ed anche Italia. Inoltre, come dall’inizio del negoziato sulla direttiva, la Germania ha mantenuto il silenzio, a denotare “astensione” – che, ai fini del raggiungimento della maggioranza qualificata, conta a sfavore.

Il testimone è stato a quel punto raccolto dalla presidenza belga, che ha deciso di far votare in Consiglio una revisione del mandato negoziale, per due motivi fondamentali: cristallizzare l’esito del negoziato sulla parte del testo riguardante la gestione algoritmica e riguadagnare la fiducia degli Stati membri circa il ruolo della Presidenza nel negoziato con il Parlamento in merito alla presunzione. Lo slancio degli spagnoli sul punto era infatti stato percepito dai loro pari come un tradimento del mandato assegnato, in favore della posizione del Parlamento.

Il nuovo mandato adottato dal Consiglio prevedeva però una presunzione disegnata in modo perfino peggiore che nel testo precedente e le due istituzioni sono riuscite ad uscire dall’impasse unicamente grazie all’idea della relatrice di adottare un approccio diverso sul punto, che lasciasse più spazio di manovra agli Stati membri. Questo prevede infatti il testo finale dell’accordo, pur nella certezza di una serie di garanzie che vanno dall’efficacia dello strumento, al suo effettivo utilizzo per facilitare la riclassificazione, all’inversione dell’onere della prova (che passa quindi dal lavoratore alla piattaforma) in caso di contrasto.

Anche questo secondo accordo è però stato inizialmente bloccato in seno al Coreper, dove quattro Stati hanno formato una minoranza di blocco: Germania, Francia, Estonia e Grecia. Grecia ed Estonia in un secondo momento, in occasione della riunione del Consiglio in formazione Occupazione e Affari Sociali dello scorso marzo, hanno modificato la propria posizione, permettendo l’adozione del testo – probabilmente, sulla spinta di forti pressioni interne, la prima, e in ragione di un misto di pressioni interne ed esterne, la seconda.

Considerazioni finali e prospettive future

Parliamo quindi di una direttiva che verrà adottata con l’opposizione della Francia e senza l’apporto della Germania – un caso molto particolare e che certamente costituirà oggetto di analisi politologiche. In breve, la posizione della Germania ha origine nel governo di coalizione che esprime e nella netta contrarietà dei liberali alla direttiva – dopo l’approvazione della direttiva sul salario minimo, questi ultimi hanno messo il veto su qualunque testo normativo europeo in ambito di politica sociale. In Francia, invece, Macron era profondamente contrario all’introduzione di una presunzione di vincolo di subordinazione perché ha impostato la sua politica su un sistema che promuove il modello di business e fa stabilmente di questi lavoratori un ibrido tra lavoratori subordinati ed autonomi: sono classificati come autonomi e possono essere loro concessi alcuni diritti minimi sulla base di negoziazioni ad hoc. La cosiddetta “terza categoria”. Non sono poi un mistero le relazioni molto strette tra il Presidente francese e la multinazionale Uber, come da lui stesso confermato e dimostrato dal cosiddetto scandalo degli Uber files.

Il principale obiettivo francese era quindi la principale red line del Parlamento europeo: l’introduzione di una terza categoria di lavoratori all’interno del quadro giuridico dell’Unione. Con tutte le implicazioni e le ripercussioni che ciò avrebbe avuto.  

In chiusura, voglio ricordare che benché l’aspetto più controverso del negoziato sia stato quello che riguarda lo status occupazione di questi lavoratori, quello più innovativo e importante per il futuro è certamente quello che riguarda la gestione algoritmica. Sulla spinta dell’approvazione di questa direttiva e delle richieste politiche che l’hanno accompagnata (soprattutto in Parlamento), è importante che durante la prossima legislatura sia regolamento l’utilizzo di ogni tipo di intelligenza artificiale nell’ambito del lavoro. La scorsa primavera, in due diverse occasioni, tanto il Commissario al lavoro Schmit quanto la Presidentessa della Commissione europea Ursula von der Leyen ne hanno riconosciuto la necessità, e un impegno in questo senso è previsto anche nella bozza di Dichiarazione sul Pilastro Sociale per gli anni 2024/2029 che Emilio De Capitani citava in apertura (e che verrà discussa la settimana prossima al vertice a La Hulpe). Non solo: tramite il principio di non discriminazione non è impossibile che – nell’attesa di uno strumento legislativo europeo ad hoc – la Corte di giustizia dell’Ue estenda proprio le disposizioni della direttiva sul lavoro da piattaforma che si riferiscono al management algoritmico ad altri lavoratori sottoposti al controllo o all’organizzazione di questi sistemi automatizzati. Una delle grandi sfide del nostro millennio è certamente quella legata alla regolamentazione dell’intelligenza artificiale, il cui utilizzo – non dovremmo mai dimenticarlo – deve essere “democratico”, nonché a beneficio e in supporto dell’essere umano, non a suo detrimento.

* Il testo riproduce l’intervento all’incontro, Pilastro sociale, lavoro e digital agenda, di Libertà e giustizia dell’11/04/2024.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *