Claudia Goldin, Premio Nobel per l’Economia 2023. Gender pay gap e tempo di lavoro

Micaela Vitaletti

Prof.ssa Associata di Diritto del lavoro, Università di Teramo

Il Premio Nobel per l’Economia 2023, assegnato a Claudia Goldin per i suoi studi sul gender pay gap, arriva in un periodo storico in cui il dibattito sulle differenze salariali uomo-donna, e più in generale sulla parità di genere, sembra occupare nuovamente l’agenda sociale e pubblica[1].

Dopo i grandi movimenti della seconda metà del secolo scorso, la questione femminile torna a essere centrale, spinta dal periodo buio della pandemia che ha scoperchiato le tante asimmetrie ancora esistenti tra uomo e donna nel mercato del lavoro. 

Il premio Nobel a C. Goldin ha, in questo senso, un significato evocativo perché rafforza l’attenzione sul tema; un monito a proseguire nel percorso evolutivo tracciato dall’economista già nell’imponente volume «Understanding the Gender Gap: An Economic History of American Women», pubblicato nel 1990 dalla Oxford University Press.

La storia economica delle donne, raccontata attraverso i dati a partire dal XIX secolo, costituisce per C. Goldin anche il mezzo per interpretare il presente[2].

Le donne hanno ottenuto alcuni dei loro più importanti diritti sul posto di lavoro negli anni Sessanta.  Hanno avuto il potere politico di convincere gli uomini del Congresso e della Casa Bianca a riconoscere che i diritti delle donne avessero lo stesso valore dei diritti civili, ma hanno subito un arresto quando hanno abbandonato il movimento, la «rivoluzione», necessaria per l’affermazione dei diritti. Queste cicliche interruzioni sono definite da C. Goldin «la strana carriera dei diritti delle donne»[3].

A partire dal saggio «A Grand Gender Convergence: Its Last Chapter» pubblicato sull’American Economic Review nel 2014, C. Goldin individua nel tempo di lavoro una delle ragioni principali di una persistente disparità salariale uomo-donna.

La migrazione del lavoro delle donne da settori un tempo ritenuti ‘femminili’ verso realtà produttive a forte caratterizzazione maschile ha generato una disparità retributiva in ragione del tempo dedicato al lavoro. 

Il maggior attaccamento degli uomini alla realtà produttiva, in particolare nel settore legale e finanziario ‘senza orario’, penalizza, sul piano economico, le donne che rinunciano ad ore lavorate per dedicarsi alla dimensione familiare. 

Le soluzioni prospettate da Claudia Goldin sono di estremo interesse perché non prevedono necessariamente interventi legislativi, né una maggior ridistribuzione dei carichi familiari, se pur auspicabili, ma un cambiamento nella culturale aziendale, un rovesciamento del paradigma tempo di lavoro e tempo di vita.

Il suo ultimo libro «Career and Family: Women’s Century-Long Journey Toward Equity», pubblicato nel 2021 da Princeton University Press, si annoda allo studio del 2014 rivolgendosi ad un pubblico più vasto, anche attraverso il racconto di aneddoti e storie.

C. Goldin evidenzia come l’aumento delle ore lavorate costituisca il criterio di scelta privilegiato dei lavoratori e delle lavoratrici, anche a discapito del livello di istruzione e dell’esperienza dei candidati e delle candidate.

Questo atteggiamento produce diversi riflessi negativi. Incide sui tassi di natalità per via dell’aumento dei costi e dei rischi legati alla crescita della prole per le donne. Indebolisce il potere contrattuale delle donne che, diversamente, hanno scelto di dedicarsi ai minori, soprattutto in caso di separazione.

Le analisi di C. Goldin sono ben visibili nella direttiva europea 2019/1558 che afferma come «l’equilibrio tra attività professionale e vita familiare costituisca una sfida considerevole per molti genitori e lavoratori con responsabilità di assistenza, in particolare a causa della crescente prevalenza di orari di lavoro prolungati e di orari di lavoro che cambiano, il che ha un impatto negativo sull’occupazione femminile (…). Quando hanno figli, le donne sono propense a dedicare meno ore al lavoro retribuito e a dedicare più tempo all’adempimento di responsabilità di assistenza non retribuite».

Al fine di poter contenere la riduzione della presenza delle donne nel mercato del lavoro, la direttiva rafforza i meccanismi volti a riallocare i compiti di cura e domestici.

In realtà C. Goldin ci dice qualcosa di più, spostando l’attenzione sul tempo di lavoro.

Si interroga sulla dilatazione dell’orario di lavoro, ponendo molte questioni: è dovuta ad una effettiva esigenza di produttività o ad un privilegio manageriale? La disponibilità a lavorare per molte ore costituisce il segnale di un maggior impegno del lavoratore oppure una propensione indotta dalla necessità di occupazione? L’iperspecializzazione e la riduzione dei costi incide sul tempo di lavoro?

In questi termini, intervenire sulla distribuzione dei carichi familiari per incentivare la presenza femminile nel mercato appare una soluzione parziale che non sembra tener conto dell’evoluzione della dimensione familiare, spesso disgregata e monogenitoriale. 

Anche nelle relazioni affettive potenzialmente paritarie, le scelte sono condizionate da ciò che definisce «lavoro avido» (greedy work). Quando i salari sono connessi essenzialmente al tempo impiegato al lavoro, la rinuncia di entrambi i genitori produrrebbe un impoverimento generale sul piano economico. Di conseguenza, si tendono a reiterare comportamenti sociali diffusi che consentono al mercato di rimanere efficiente: sarà, pertanto, la donna lavoratrice a rinunciare a maggior ore di lavoro.

Quando ciò non accade, come ad esempio per le lavoratrici più istruite ad alta professionalità, la redistribuzione dei compiti familiari replica lo schema di genere, riversando su altre donne a basso salario i compiti di cura.

Non è pertanto sufficiente guardare all’equilibro familiare. C. Goldin rovescia la prospettiva: individua il germe della disparità nell’organizzazione del lavoro che attecchisce anche dove è in atto una «rivoluzione culturale». In «The Quiet Revolution that Transformed Women’ s Employment, Education, and Family»[4] C. Goldin non a caso poneva come interrogativo l’affermazione pronunciata da uno dei fondatori dell’American Economic Review nell’ambito di una conferenza: da una rivoluzione si può tornare indietro?


[1] C. Goldin insegna economia all’University di Harvard. Ha in precedenza insegnato all’Università di Wisconsin-Madison, all’Università di Princeton e all’Università della Pennsylvania.  

[2] C. Goldin, Understanding the Gender Gap: An Economic History of American Women, Oxford University Press, 1990.

[3] C. Goldin, Why women won, Working Paper 31762. http://www.nber.org/papers/w31762.

[4] American Economic Review, 2006.

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