La Corte costituzionale fa salvo il diritto al mantenimento del reo sottoposto a misure alternative alla detenzione

Stefania Buoso

Ricercatrice di Diritto del lavoro, Università degli Studi di Ferrara

22 marzo 2022

La sentenza costituzionale n. 137/2021 è particolarmente significativa e interessante perché si pronuncia sul diritto al mantenimento di cui all’art. 38 co. 1 Cost. con riferimento ai soggetti sottoposti a misure alternative alla detenzione, ai quali la legge 92/2012 aveva attribuito uno «statuto d’indegnità» e la revoca del beneficio assistenziale; si tratta di soggetti rispetto ai quali il processo d’inclusione sociale non è scontato. La sentenza è di rilievo sul piano della ricostruzione giuridica e delle conseguenze di natura sociale che da essa derivano perchè si sofferma, oltre che sul carattere universalistico delle misure assistenziali di minimo vitale, anche sulla contraddittorietà di provvedimenti afflittivi che si rivelano lesivi della dignità dei condannati per gravi reati, dei quali la comunità statale deve, comunque, farsi carico in quanto persone.

La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal Tribunale di Roma e riguardava l’art. 2 co. 61 della l. 92/2012 circa la revoca di una prestazione di natura assistenziale – quella dell’assegno sociale – di un ex collaboratore di giustizia, condannato per uno dei reati di cui la legge aveva stabilito la revoca. Per ricordarli, a titolo esemplificativo, si trattava dei reati di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico, attentato per finalità terroristiche o di eversione, etc. 

La circoscrizione legislativa della platea dei beneficiari di prestazioni assistenziali è, appunto, questione spinosa quando si tratta della commissione di reati di particolare allarme sociale, potenzialmente idonei a determinare una deminutio soggettiva, per una finalità in senso lato sanzionatoria.

La Corte risolve la questione, tuttavia, a prescindere “da precorse qualità e situazioni personali” e sulla scorta del necessario rispetto del canone di ragionevolezza: una eventuale modulazione delle misure assistenziali è legittima quando non pregiudica le “prestazioni che si configurano come misure di sostegno indispensabili per una vita dignitosa”; ciò che conta, infatti, è che non sia compromesso il sostentamento della persona nel nucleo irriducibile della dignità e che sia promossa, d’altro canto, la salvaguardia di condizioni di vita accettabili. Occorre, allora, rimarcare che, per il Giudice delle leggi, il fatto che i condannati per i reati di cui all’art. 2 co. 58 della legge 92/2012, sopra citati, abbiano gravemente violato il patto di solidarietà sociale che è alla base della convivenza civile, non è sufficiente a recidere l’impegno della comunità di assicurare ad essi i mezzi necessari per vivere; impegno che, invece, viene assolto, seppur in forma minima, per i detenuti in carcere che sono a carico dell’istituto carcerario. 

L’assegno sociale che integra prestazione di “minimo vitale”, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata, è indefettibile e incomprimibile dalla discrezionalità del legislatore, anche in campo sanzionatorio. 

La sentenza costituzionale n. 137/2021 dichiara illegittima, dunque, la revoca dell’assegno sociale e lo stesso statuto d’indegnità perché sono idonei a mettere in discussione la sopravvivenza dignitosa del condannato, in violazione dei principi costituzionali su cui si fonda il diritto all’assistenza: il beneficio è, invero, volto, in conformità all’art. 38 co. 1 Cost., a “fare fronte allo stato di bisogno” e si colloca a “tutela dei soggetti fragili”. 

Da quanto risulta dalle affermazioni della Corte, la situazione di fragilità e bisogno del condannato ammesso a scontare la pena in regime alternativo al carcere – data la necessaria sopportazione delle spese relative al mantenimento e la contestuale mancanza di mezzi adeguati – reclama l’ausilio delle provvidenze pubbliche ai fini della garanzia del nucleo essenziale del diritto che spetta a ciascuno indistintamente.

Il difetto di ragionevolezza della norma impugnata sussiste, tra l’altro, non solo nella circoscrizione, in senso privativo dei mezzi di sussistenza, della platea dei beneficiari di prestazioni di minimo vitale ma anche nel contrasto tra provvedimenti normativi che vedono come destinatari i medesimi soggetti, prima dichiarati meritevoli di misure alternative alla detenzione e, successivamente, trovatisi in uno stato di bisogno proprio a seguito dell’assegnazione del condannato a condizioni di espiazione della pena alternative a quella carceraria. 

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