Samuele Renzi
Assegnista di ricerca, Università degli Studi di Firenze
21 dicembre 2022
Con il d.lgs. 27 giugno 2022, n. 104, conosciuto nel dibattito anche come “Decreto Trasparenza”, sono state recepite nell’ordinamento domestico le previsioni della Direttiva n. 1152/2019, arricchendo il testo del d.lgs. n. 152/1997 in cui è fissato l’elenco delle informazioni che il datore è tenuto a fornire al momento della sottoscrizione del contratto di lavoro ovvero con una successiva comunicazione[1]. Nell’occasione, il legislatore nazionale ha altresì aggiunto al corpo del d.lgs. n. 152/1997 il nuovo art. 1-bis, che prevede specifici obblighi di trasparenza allorché l’imprenditore si determini a utilizzare sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati, spingendosi quindi oltre le indicazioni della direttiva, silente su questo specifico punto[2].
L’ampio fascio di prescrizioni contemplate dalla norma attinge, in maniera probabilmente consapevole, ai contenuti della Proposta di direttiva relativa al miglioramento delle condizioni nel lavoro mediante piattaforme digitali, anticipando sul piano interno l’adozione di misure in merito alle quali non sono state ancora pronunciate parole definitive nelle sedi europee. E, se il calco appare ben riuscito, attesa l’evidente affinità tra l’art. 6 della Proposta e il nuovo art. 1-bis inserito nel d.lgs. n. 152/1997, il legislatore nazionale, con la scelta di inserire la norma nell’ambito di una fonte che conosce un perimetro applicativo molto più ampio del settore del lavoro su piattaforma, ha attribuito valenza trasversale al concetto di trasparenza algoritmica.
Venendo alle concrete declinazioni del principio, si registra come le soluzioni adottate mirino ad avversare, con lo scopo di neutralizzarla, una caratteristica dei sistemi in esame che potremmo definire doppia opacità dell’algoritmo. È infatti acquisito in letteratura[3] che può non risultare evidente, o essere finanche occultato, sia l’effettivo impiego di un sistema sia i percorsi logici da questo seguiti per la produzione di un determinato esito.
Il co. 1 del nuovo art. 1-bis pone infatti in capo al datore di lavoro l’obbligo di avvisare il lavoratore circa l’utilizzo di sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati, facendo salve – ma la precisazione è apparsa finanche superflua – le garanzie di cui all’art. 4 St. lav. A ben vedere, la formulazione del co. 1 si mostra più articolata e ricca di dettagli in merito alle caratteristiche dei sistemi che dovrebbero ricadere nella sfera di applicabilità della norma, tant’è che si è reso necessario un intervento chiarificatore del Ministero del lavoro, onde scongiurare un’estensione a tutto campo dell’obbligo. A tale fine, la circolare n. 19 del 20 settembre 2022 ha precisato che l’informativa risulta necessaria solo ove abbia luogo “un’attività interamente automatizzata finalizzata ad una decisione datoriale” e non quando l’imprenditore si serva per la gestione del rapporto di lavoro di un dispositivo informatico guidato da un’intelligenza umana. Sul versante dell’attività di controllo, stante la chiara formulazione del precetto legale, è stato invece confermato che l’informativa sia obbligatoria ogniqualvolta vengano utilizzati sistemi algoritmici preordinati a fornire “indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori”, quand’anche i dati raccolti siano poi vagliati e rielaborati da un decisore umano. Del resto una diversa lettura avrebbe potuto dare luogo a un’antinomia con il disposto dell’art. 4, co. 3, St. lav.
Nel prosieguo, segnatamente al co. 2, la norma si occupa della c.d. “seconda opacità”, imponendo la condivisione di informazioni in merito agli aspetti del rapporto di lavoro sui quali incide l’utilizzo dei sistemi automatizzati nonché riguardo alla “logica ed al funzionamento” di essi e alle categorie dei dati coinvolti, al fine di consentire un’effettiva leggibilità degli algoritmi e rendere perspicue le relative modalità di funzionamento. Grazie a tali misure dovrebbe risultare più agevole la comprensione degli output decisionali e, dunque, delle determinazioni assunte dal datore di lavoro, con maggiori possibilità di sindacarne la legittimità anche in sede processuale, sebbene – occorre avvertire – non sia previsto il diritto a ottenere una dettagliata spiegazione in ordine all’assunzione di una specifica e determinata scelta, similmente a quanto rilevato[4] riguardo ai diritti di informazione e di accesso previsti dagli artt. 13 e 15 del GDPR.
Convergono verso il solco tracciato dalla Proposta di direttiva anche le disposizioni di cui ai co. 3 e 6, lì dove viene assicurato alle organizzazioni sindacali il diritto di ricevere tutte le informazioni previste dall’art. 1-bis nonché il diritto di assistere i singoli lavoratori nell’effettuare ulteriori richieste al datore di lavoro volte a ottenere informazioni di maggiore dettaglio.
In ultimo, occorre segnalare che, accanto alle indicazioni appena passate in rassegna circa il dettaglio contenutistico che deve caratterizzare le informative, il d.lgs. n. 104/2022 stabilisce alcuni requisiti di ordine formale, prevedendo che le informazioni e i dati siano comunicati tanto ai singoli quanto agli attori collettivi “in modo trasparente, in formato strutturato, di uso comune e leggibile da dispositivo automatico”. Non sarebbe, infatti, garantita in maniera efficace la trasparenza delle comunicazioni datoriali ove lo strumento utilizzato per veicolarle si mostrasse difficilmente intellegibile o, comunque, comprensibile solo da soggetti dotati di elevate cognizioni tecniche che normalmente un lavoratore non possiede.
Pare obbligato, a conclusione della breve disamina, un confronto con il quesito riguardante la rilevanza del valore della trasparenza algoritmica nonché l’utilità delle norme volte ad assicurarne il rispetto, saggiando la capacità dei nuovi obblighi in materia di trasparenza dei sistemi c.d. smart di offrire un’adeguata riequilibratura delle asimmetrie informative e un’efficace correzione alla c.d. doppia opacità del potere algoritmico. Misurando su questo specifico terreno le prerogative accordate ai lavoratori e ai loro rappresentanti da parte degli istituti appena descritti, può darsi una valutazione positiva della riforma giacché si rivela ampio il contenuto delle prescrizioni alle quali si deve conformare il datore di lavoro per rendere effettivamente trasparente, quanto all’an e al quomodo, l’esercizio dei propri poteri mediante dispositivi automatizzati. Anzi, il bilanciamento realizzato appare soddisfacente proprio e in quanto non vengono introdotti nuovi vincoli ai poteri datoriali circa l’ampiezza delle facoltà di cui essi si sostanziano, ma – come testimoniato dal richiamo all’art. 4 St. lav. – vengono tenuti fermi i limiti già esistenti, che dunque operano sia quando un potere venga esercitato in forma tradizionale sia nel caso in cui l’impresa faccia ricorso ad un algoritmo.
[1] Sul punto si v. A. Zilli, La trasparenza nel lavoro subordinato. Principi e tecniche di tutela, Pisa, 2022, pp. 138-142.
[2] A tal proposito, conviene segnalare che il tema è altresì emerso nell’ambito delle discussioni parlamentari, attirando le critiche della XI Commissione permanente del Senato, che ha rilevato il possibile contrasto della norma in esame con l’art. 14, L. n. 246/2005, che detta criteri atti a evitare che nel recepimento di direttive unionali si introducano livelli di regolazione superiore a quelli richiesti dalla direttiva stessa.
[3] La formula “doppia opacità” non è diffusa, sebbene la si ritenga esplicativa. Vari A. hanno comunque segnalato i rischi in esame: G. Gaudio, L’algorithmic management e il problema della opacità algoritmica nel diritto oggi vigente e nella Proposta di Direttiva sul miglioramento delle condizioni dei lavoratori tramite piattaforma, in LDE, 2022, 1, p. 1 ss.; C. Spinelli, La trasparenza delle decisioni algoritmiche nella proposta di Direttiva UE sul lavoro tramite piattaforma, in LDE, 2022, 2, p. 1 ss.
[4] Cfr. G. Gaudio, op. cit., pp. 8-9.