Donne, salute e lavoro al tempo della pandemia e oltre

Chiara Lazzari

Professoressa associata di Diritto del lavoro, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo

1. L’emergenza da Covid-19 ha indubbiamente acceso i riflettori sulle problematiche di genere anche per quanto concerne il tema della salute e sicurezza sul lavoro

Nel brevissimo spazio di questo intervento, cercherò di delineare in modo quasi rapsodico quella che, dal mio punto di vista, dovrebbe costituire la cornice interpretativa entro la quale inquadrare la questione, utile per formulare qualche proposta, e il cui perimetro può essere tracciato, a mio avviso, dal concetto di salutecircolare. Concetto che mutuo dal titolo dell’omonimo libro di Ilaria Capua (Salute circolare. Una rivoluzione necessaria, 2019, I ed.) e la cui valenza simbolica esce rafforzata negli scenari attuali della pandemia, come ho cercato di argomentare altrove (Chiara Lazzari, Per un (più) moderno diritto della salute e della sicurezza sul lavoro: primi spunti di riflessione a partire dall’emergenza da Covid-19), disvelando, però, tutte le sue potenzialità ermeneutiche a prescindere dalla contingenza del momento.

Ciò perché l’idea di salute circolare parrebbe inverata nello stesso decreto legislativo n. 81/2008, che qualifica la salute come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità. Questa definizione, infatti, accogliendo una visione unitaria del bene salute, mi sembra evochi altresì una condizione di equilibrio armonico del soggetto rispetto all’ambiente inteso in senso lato, cioè non solo come ambiente di lavoro, ma anche di vita.

Ne deriva che il paradigma di salute circolare, focalizzando l’attenzione sulla permeabilità fra organizzazione produttiva e ambiente (nel significato ampio che si è specificato), implica un approccio integrato e olistico al tema in esame. Di qui una prima conseguenza: quella che sto affrontando non è questione di cui possa farsi carico unicamente il micro-sistema normativo del diritto della salute e sicurezza sul lavoro, perché le diseguaglianze di genere in materia hanno carattere multidimensionale e, pertanto, vanno colte a vari livelli. In proposito, basti solo pensare ai fenomeni di segregazione occupazionale e contrattuale, e alle loro ricadute sulla salute delle lavoratrici. Sicché, appare necessario riconoscere il ruolo di misure di prevenzione per così dire indiretta a interventi destinati a incidere positivamente sulle condizioni d’impiego, oltre che sulle modalità d’inserimento delle donne nel mercato del lavoro. Ma lo stesso dicasi per la sottorappresentazione femminile nelle posizioni apicali e decisionali, che, in quest’ambito, si traduce in una limitata partecipazione alla costruzione e gestione del sistema aziendale di prevenzione. Anche in questo caso, dunque, occorrerebbe agire alle radici del problema.

2. Approccio olistico significa pure necessità di accostarsi alle questioni qui analizzate in un’ottica formativa integrata. Penso al ruolo del medico competente, il quale, per svolgere adeguatamente i compiti che gli sono assegnati, non può non essere in possesso delle conoscenze richieste dalla medicina genere-specifica. Più in generale, rilevo l’esigenza di transitare da una formazione sulla sicurezza neutra a una oriented gender per tutti gli attori del sistema aziendale di prevenzione (ossia Responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi e Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza), ma altresì per lavoratori, dirigenti e preposti, magari prevedendo interventi formativi ad hoc in collaborazione con Inail e organismi di parità.

3. Anche l’inserimento della prospettiva di genere nella valutazione dei rischi abbisogna di una visione di tipo olistico. Invero, il riferimento, da parte dell’art. 28 del decreto legislativo n. 81/2008, al genere – inteso come costruzione sociale e culturale di ruoli, compiti, funzioni a partire dalle differenze sessuali – fa sì che l’attività valutativa debba considerare sia i meccanismi biologici che rendono maschi e femmine diversamente suscettibili nell’esposizione ai vari fattori di rischio, sia le diseguaglianze collegate al peculiare significato assunto dal concetto di genere rispetto a quello di sesso. Ne deriva la necessità di tener conto delle asimmetrie nella distribuzione dei rischi per la salute che scaturiscono dai fenomeni di segregazione poc’anzi ricordati, oltre che dalla squilibrata divisione del lavoro – domestico e di cura – nella sfera privata. Se tutto ciò non può non emergere, ad esempio, dalla valutazione dello stress lavoro-correlato, per altro verso è evidente la rilevanza delle misure che definivo prima di prevenzione indiretta, come quelle in materia di conciliazione vita-lavoro, quale fondamentale tassello nella costruzione di un sistema prevenzionistico inteso in senso ampio. Così come affiora l’importanza della contrattazione collettiva, peraltro ancora troppo poco in grado di condizionare un’organizzazione del lavoro concepita prevalentemente al maschile. 

È chiaro, però, che la strada indicata nell’art. 28 non appare facile da percorrere in assenza di un metodo standardizzato da seguire. Osservo, in via meramente esemplificativa, quanto sia complicato valutare il rischio occupazionale in ottica di genere. Mi sembra, quindi, urgente un’attività di sostegno tecnico e specialistico ai datori di lavoro da parte sia degli enti pubblici aventi compiti in materia di salute e sicurezza, come l’Inail, sia ad opera della Commissione consultiva permanente.

4. Ed è, per l’appunto, attorno al fondamentale obbligo di valutazione dei rischi che a me pare possa essere costruito, più in generale, un efficiente sistema di gestione della sicurezza in azienda attento alla dimensione di genere. In particolare, richiamo qui l’art. 30 del decreto legislativo n. 81/2008 e le potenzialità dell’adozione, ed efficace attuazione, di un modello di organizzazione e di gestione (Mog), che, in quanto capace di integrare al proprio interno detta dimensione, diventa emblema della circolarità da cui sono partita. Infatti, inglobare la prospettiva di genere nel Mog, cosicché questo diventi lo strumento idoneo a promuovere la salute garantendo maggiore uguaglianza fra donne e uomini, significa, per il datore di lavoro, assumere tale ottica come tematica trasversale a tutti i processi organizzativi, innescando procedure virtuose di programmazione, attuazione, monitoraggio, riesame ed eventuale modifica dei medesimi anche sotto il profilo considerato in questa sede. Ciò che può riverberare effetti positivi su di una pluralità di piani. Pensiamo a come l’opacità dell’organizzazione del lavoro possa favorire la diffusione di condotte, quali il mobbing o le molestie sessuali, di cui le donne sono vittime preferenziali e che, perciò, possono connotarsi in termini discriminatori.

Proprio quest’ultima osservazione mi induce a evidenziare, nella prospettiva olistica proposta, le interazioni fra il tema in esame e quello della discriminazione quale fattore in grado d’incidere negativamente sulla salute del soggetto, ma anche a rimarcare come le novità recate dal decreto legislativo n. 81/2008, con il superamento di una concezione neutra di salute e sicurezza, sembrino rafforzare i nessi fra promozione della sicurezza sul lavoro e contrasto a ogni forma di discriminazione di genere, nella misura in cui la normativa prevenzionistica diviene strumento del diritto antidiscriminatorio (Roberta Nunin, La normativa sulla sicurezza di genere come strumento del diritto antidiscriminatorio)

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