Anna Rota
Assegnista di ricerca in Diritto del lavoro e Professoressa a contratto, Università di Bologna
È a tutti nota l’attenzione riservata durante l’emergenza sanitaria da Sars COV 2 al tema della salute e sicurezza del lavoro. Da qui il rifiorire di un vivace dialogo tra gli studiosi del diritto anzitutto a margine dell’inedita valorizzazione del lavoro agile tanto nel settore pubblico (obbligatorio) quanto in quello privato (raccomandato). Al di là delle opportunità associate a tale modalità di svolgimento della prestazione anzitutto in termini di diffusione del contagio, la dottrina non ha mancato di segnalare tra l’altro la necessità d’integrare nelle strategie prevenzionistiche anche la prospettiva di genere. Prospettiva d’indagine ritenuta indispensabile ed al contempo proficua in considerazione della più accentuata segregazione occupazionale registrata nelle organizzazioni del lavoro che più hanno fatto ricorso a prestazioni di smart working (così Lazzari 2020, http://www.ingenere.it/articoli/per-fase-due-piu-sicura ).
A ben vedere, proprio la riflessione intorno alla declinazione gender oriented della sicurezza del lavoro reclama più ampia considerazione anche al di fuori del perimetro applicativo di cui al d.lgs. n. 81/2008 che, come noto, ha recepito gli indirizzi delle istituzioni comunitarie elaborati sulla scorta degli esiti della medicina occupazionale di genere e d’un approccio che non si limita a valorizzare esclusivamente le condizioni biologiche di chi svolge un’attività lavorativa.
Nello specifico, s’intende considerare gli addetti ai servizi familiari e domestici, vale a dire un segmento del mercato del lavoro a forte concentrazione femminile come da ultimo conferma un recente policy brief elaborato dall’Ufficio OIL per l’Italia e San Marino sul tema del «lavoro domestico durante l’emergenza da COVID -19». Secondo l’istantanea scattata ad aprile 2020, più del 70% delle attività è svolto da donne, in prevalenza straniere senza ovviamente ignorare che alla stima sfugge l’alto tasso di informalità che affligge il settore.
Oltre alla discutibile esclusione dal più corposo degli interventi a tutela della salute e sicurezza (cfr. artt. 2 e 3 comma 8, d.lgs. n. 81/2008) sulla cui scarsa ragionevolezza giuridica e storica non ha tardato ad esprimersi una parte della dottrina (Angelini L. – Pascucci P. (2010), La tutela della salute e sicurezza dei lavoratori domestici. Nuovi spunti di riflessione dopo il d.lgs. n. 81/2008 in Sarti R. (a cura di) Lavoro domestico e di cura: quali diritti?, Ediesse, p. 240; più recentemente negli stessi termini C. Lazzari, http://ojs.uniurb.it/index.php/dsl/article/view/2200), resta altrettanto criticabile la mancata operatività dell’art. 2087 c.c. Alla base della disapplicazione della norma codicistica (e di tutte le regole successivamente introdotte dal d.lgs. n. 626/1994 e più recentemente dal d.lgs. n. 81/2008), gli interpreti hanno soprattutto valorizzato la natura non professionale del datore (Basenghi F. (2000), Il lavoro domestico. Artt. 2240-2246 in Schlesinger P. (diretto da), Il Codice civile. Commentario, Giuffrè, p. 238 ss.).
La tutela accordata al lavoro domestico continua ad essere affidata alle disposizioni contenute nella legge n. 339/1958. Nell’ambito di un provvedimento inizialmente accolto con il favore dalla dottrina per aver colmato un pericoloso vuoto di tutela ma che oggi accusa i “segni del tempo”, l’art. 6 stabilisce a carico del datore l’obbligo di assicurare un ambiente (da intendere come locale) che non sia nocivo all’integrità fisica e morale del lavoratore domestico nonché di proteggere il lavoratore qualora in famiglia vi siano fonti di infezione.
A quanto consta, proprio la pandemia da COVID 19 ha riportato l’attenzione sul deficit regolativo che contrassegna il settore in esame anzitutto sul piano della tutela individuale (ad evidenziarne, da tempo, il silenzio del legislatore e la poca considerazione nella giurisprudenza costituzionale è De Simone G. (2019), La dignità del lavoro e della persona che lavora, in DLRI, 4, p. 658 ss.). Sollecitazioni nella direzione di «estendere al lavoro domestico la disciplina del diritto del lavoro e della previdenza sociale che si applica all’insieme dei lavoratori» provengono dal citato rapporto OIL che, a sua volta, si richiama ai contenuti della convenzione OIL n. 189 (Convenzione sul lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici, 2011) ed alla relativa Raccomandazione 201 sul lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici. Informazione, formazione e valutazione dei rischi costituiscono il core/gli elementi chiave d’una nuova regolazione giuridica più coerente anche con la rilevanza acquisita dal fenomeno in ragione delle profonde modificazioni della struttura demografica.
Su questa traccia basica (che solo marginalmente ha ispirato il legislatore nazionale nell’ambito del Decreto rilancio laddove le mascherine chirurgiche assurgono a dispositivi di protezione individuale anche per gli addetti ai servizi familiari e domestici impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale minima) vanno innestate ulteriori garanzie, inclusa la inesplorata o quanto meno non adeguatamente declinata prospettiva di genere. Volendo attribuire un significato anche ai trascurati consideranda della Convenzione OIL, assicurare una tutela gender oriented della salute e sicurezza a favore della «Cenerentola del lavoro subordinato» (così De Simone 2019, op. cit., p. 657) appare d’indubbia strategicità oltre che conforme agli obiettivi europei di piena inclusione anche nei circuiti occupazionali.
“Prendere sul serio” la prospettiva della sicurezza di genere rappresenta in sostanza un passaggio fondamentale ancor più di fronte al persistere di inaccettabili diseguaglianze sul fronte occupazionale (in tema Nunin R. (2019), La normativa sulla sicurezza di genere come strumento del diritto antidiscriminatorio in Slip G. (a cura di), Sicurezza accessibile. La sicurezza sul lavoro in una prospettiva di genere, EUT, p. 47 ss.). Da qui, l’ineludibilità d’una revisione giuridica che, come da tempo auspicato dalla dottrina, non prescinda dalla «diversa incidenza e qualità dei rischi per la salute e sicurezza connessi alle differenze di genere», a partire dalle peculiarità degli aspetti comportamentali e dalla diversa esposizione a rischi come quello chimico, ergonomico ma anche psico-sociale (così Angelini L. – Pascucci P., op. cit., p. 232).
Una risposta.
[…] Anna Rota, “Lavoro domestico, sicurezza di genere ed emergenza da Covid-19” […]