Micaela Vitaletti
Professoressa di Diritto del lavoro, Università di Teramo
Nell’ultima bozza del Piano di Ripresa e Resilienza, approvata il 12 gennaio 2021 dal Consiglio dei Ministri, l’espressione ‘parità di genere’ non appare più nell’intitolazione della area tematica e/o missione di intervento prevista per ridurre le disuguaglianze e la povertà. Nella Missione, attualmente denominata «Inclusione e coesione», ricadono interventi per le donne, i giovani e le aree territoriali a maggior rischio occupazionale.
La vocazione ‘femminile’ del Recovery plan perde in tal senso quella centralità che aveva assunto nel dibattito dopo la dichiarazione dello stato di emergenza Covid-19. Tutte le analisi relative all’impatto della crisi sanitaria sul mercato del lavoro hanno evidenziato l’aumento delle differenze di genere, essendo stato maggiore il calo del tasso di occupazione e di disoccupazione delle donne, prevalentemente impiegate nei settori più colpiti dalla pandemia (ILO, A gender-responsive employment recovery: Building back fairer, 2020 https://www.ilo.org/emppolicy/pubs/WCMS_751785/lang–en/index.htm ; World Economic 2020, Global Gender Gap) Al contempo è aumentato il tasso di inattività, specialmente delle donne con figli minori nella fascia di età prescolare. Già nell’estate del 2020 l’eurodeputata Alexandra Geese aveva promosso il manifesto «Half of It»per chiedere che la metà delle risorse stanziate dall’Unione Europea nel programma Next Generation EU fossero impiegate in una ottica di genere. A tale campagna hanno aderito molte associazioni e deputate italiane.
Le misure restrittive adottate a decorrere da febbraio 2020 e la chiusura delle scuole ha prodotto risultati ancor più evidenti aumentando il divario di genere già fortemente radicato (Istat- Report secondo trimestre 2020). Non soltanto l’occupazione femminile nel nostro Paese si è ridotta a causa del maggior impiego nei settori più a rischio Covid 19, ma il confinamento generato dalle misure adottate si è riversato prevalentemente sulle lavoratrici madri. In un contesto culturale in cui è la donna a svolgere prevalentemente i compiti di cura e domestici, la scelta di continuare a lavorare da remoto e/o di rinunciare a cercare nuova occupazione è ricaduta quasi esclusivamente sul genere femminile.
I primi interventi confermano, anche sul piano sostanziale, una sorta di equiparazione tra le categorie accolte nella missione «Inclusione e coesione». Tant’è che l’adozione delle misure di decontribuzione si rivolgono ai «giovani, le donne ed il Sud» e finanziate da una quota rilevante delle risorse ReactEU da spendere nel breve periodo come previsto dal Programma Next Generation EU.
Quelle risorse, infatti, sono confluite nella legge 30 dicembre 2020, n. 178 (c.d. Legge di Bilancio 2021) per coprire i costi della fiscalità di vantaggio al fine di favorire «il lavoro al Sud ed altri interventi a favore dell’occupazione (decontribuzione per nuove assunzioni per giovani e donne)». La Legge di Bilancio prevede l’esonero contributivo per le assunzioni dei giovani e delle donne nel biennio 2021-2022. Non si tratta di misure nuove. L’alleggerimento del costo del lavoro ha sempre costituito una misura in uso nel nostro Paese per promuovere l’occupazione.
Con riferimento alle famiglie, più che alle donne, il Piano conferma l’entrata in vigore del primo modulo dell’assegno unico universale per i figli nel corso del 2021 e l’estensione del congedo di paternità fino a dieci giorni per il 2021 come approvato dalla legge di Bilancio (art. 1 comma 363). L’aumento delle giornate di congedo di paternità per l’altro genitore, introdotto per la prima volta dalla l. n. 92/2012 non è una scelta attribuibile al Piano. L’Italia, infatti, deve adeguare il d.lgs. n. 151/2001 «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità» alla Direttive Europea n. 1558/2019 relativa «all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza» che prevede un periodo minimo di 10 giorni di congedo di paternità. La legge di Bilancio anticipa pertanto tale indicazione, ma non si confronta con i contenuti della Direttiva nel suo complesso.
Tutte queste misure, le cui risorse sono limitate nel tempo, seguono la logica da tempo adottata dal nostro ordinamento di mera distribuzione di risorse, così rinunciando a interventi strutturali volti a offrire servizi e a sollecitare direttamente l’economia di mercato, se pur il Piano di ripresa mira anche «a potenziare i servizi di asili nido e per la prima infanzia» per far fronte alla natalità e alle conseguenti esigenze di cura».
In altri termini, il Piano si preoccupa di offrire strumenti che possano generare nell’immediato un impatto sull’occupazione, privilegiando donne e giovani, ma appare in qualche modo cedevole quando deve confrontarsi con una progettualità mirata alle questioni di genere che precedono e influiscono sulla sotto-rappresentazione delle donne nel mercato del lavoro.
La crisi sanitaria in Italia del resto non ha fatto altro che confermare come il minor tasso di occupazione femminile è l’effetto e non la causa di fattori culturali che influiscono direttamente sulle scelte delle donne, generando quella “dipendenza” che influisce notevolmente anche sulla sua capacità di emancipazione.
A mero titolo esemplificativo, durante la pandemia, il congedo parentale straordinario previsto dal d.l. n. 18/2020 e poi prorogato è stato utilizzato nel 97% dalle lavoratrici madri se pur, anche l’altro genitore, qualora lavoratore subordinato, ne avesse diritto. Tale dato è sintomatico di come nei nuclei familiari siano la cura della prole e il lavoro domestico sia percepito come impegno prevalentemente femminile. A parità di diritti è la donna che ha rinunciato al lavoro retribuito.
Allo stesso modo, la polarizzazione delle lavoratrici in alcuni settori, tra l’altro i più colpiti dalla pandemia, conferma che alcuni lavori sono considerati più adatti alle lavoratrici e, spesso, sono anche quelli in cui le retribuzioni sono più basse e le condizioni di lavoro precarie.
Una attenzione al genere come condizionamento culturale si annida, invece, nell’art. 1 comma 97 della legge di Bilancio che istituisce il «Fondo a sostegno dell’impresa femminile». Il Fondo le cui risorse sono state stanziate per il 2021-2022 è destinato a «promuovere (…) la diffusione (…) del lavoro tra la popolazione femminile (…); programmi di formazione e orientamento verso materie e professioni in cui la presenza femminile deve essere adeguata alle indicazioni di livello dell’Unione europea e nazionale (…). Il Fondo prevede, altresì, il finanziamento «di iniziative per promuovere il valore dell’impresa femminile nelle scuole e nelle università».
L’operatività del Fondo è rimessa al Comitato Impresa Donna che, tra le altre funzioni, formula raccomandazioni relativamente «allo stato della legislazione e dell’azione amministrativa, nazionale e regionale, in materia di imprenditorialità femminile e in generale sui temi della presenza femminile nell’impresa e nell’economia (art. 1 comma 97 e seguenti)».
Dalle finalità più ampie è l’istituzione del Fondo «contro le discriminazioni e la violenza di genere» al fine di garantire «le attività di promozione della libertà femminile e di genere e le attività di prevenzione e contrasto delle forme di violenza e discriminazione fondate sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità». Sono destinatarie delle risorse del Fondo di cui al comma 1134 le associazioni del Terzo settore che rechino nello statuto finalità e obiettivi rivolti alla promozione della libertà femminile e di genere e alla prevenzione e al contrasto delle discriminazioni di genere; svolgano la propria attività da almeno tre anni e presentino un curriculum dal quale risulti lo svolgimento di attività documentate in attuazione delle finalità di cui alla lettera a)» (art. 1 comma 1134, 1135).
I limiti dei due Fondi appaiono evidenti: le risorse sono circoscritte nel tempo; il Fondo contro le discriminazioni è fruibile dalle sole associazioni del Terzo settore e non dalle scuole e dalle università; il Fondo a sostegno dell’impresa femminile poteva avere funzioni più articolate.
Tuttavia è qui che risiede la differenza rispetto alla Missione «Inclusione e coesione» dove le categorie ritenute svantaggiate sono oggetto di interventi universali. Il Piano di ripresa e rilancio, attraverso l’istituzione dei Fondi, privilegia la formazione che, pur non avendo un impatto economico immediato, costituisce un tassello essenziale e determinante per modificare anche le logiche di mercato.
È dalle fondamenta di una società che occorre muovere, affinché gli interventi legislativi, per quanto lodevoli, abbiano una qualche possibilità di successo sul lungo periodo. Finita la stagione degli sgravi contributi, cosa resta del lavoro femminile se una scelta economica non è anche sostenuta da una scelta culturale?
Una risposta.
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