Marco Novella
Professore ordinario di Diritto del lavoro, Università degli Studi di Genova
30 settembre 2024
È sorprendente constatare come una parte degli scritti che compongono il volume curato da Maurizio Falsone sia consacrato alla didattica del diritto del lavoro. Da un gruppo di studiosi “quarantenni e in carriera” ci si poteva attendere una sottovalutazione un po’ snobistica dell’attività di insegnamento, a favore della più nobile attività di ricerca. E ciò soprattutto nel momento in cui – come si intuisce dal titolo – i contributi degli autori dovrebbero esprimere, in modo diretto o indiretto, esplicito o implicito, una autorappresentazione del proprio “essere” giurista del lavoro.
Certo, si può un po’ cinicamente osservare che, oggi, non è la didattica, nella percezione comune, ad essere la “Cenerentola” delle attività universitarie, essendo stata sorpassata, nella classifica di ciò che si ritiene meno appagante, dai compiti della terza missione, o dai variegati impieghi gestionali o di servizio per l’Ateneo o per il Dipartimento. Il sospetto, insomma, è che la didattica finisca per essere oggetto di inattesa rivalutazione solo nel confronto con altre attività, comunque dovute, e assai meno gratificanti. Tuttavia, proprio il titolo del volume, per quel filo di enfasi che lo connota, garantisce che chi ha partecipato al libro ha scelto di occuparsi di un certo tema nella convinzione che esso sia significativo e caratterizzante forse addirittura sotto il profilo esistenziale.
I quattro contributi dedicati alla didattica sono eterogenei.
A volerlo cercare, però, un comune denominatore lo si trova: tutti gli autori considerano lo studente universitario un interlocutore ineludibile nella definizione delle modalità di insegnamento e perfino, in qualche caso, nei contenuti dello stesso. Lo studente non è mai, nelle trattazioni, un soggetto passivo, destinatario di tentativi unilaterali, coattivi, e quindi grotteschi, di travaso di sapere. Si percepisce la volontà di de-costruire le più diffuse immagini caricaturali del docente: sia quella del docente-narciso, che si esibisce dalla cattedra compiaciuto del proprio linguaggio esoterico; sia quella del docente-burocrate, che assolve il fastidio dei propri obblighi didattici somministrando indifferente, a platee annichilite, soliloqui autorefernziali.
Silvio Bologna anela a una didattica del diritto del lavoro che abbia il tempo delle riflessioni profonde, interdisciplinari, situate nelle dinamiche della società, della politica, dell’economia, e che conservi una vocazione diversa dal mero inserimento al lavoro del discente. Una didattica problematica e sistematica, e non semplificante e schematica, alla cui realizzazione l’autore ritiene utile il ricorso alla proiezione cinematografica, all’arte figurativa, all’insegnamento clinico del diritto.
La scommessa, in questo caso, riguarda, per così dire, l’audience: sotto il profilo del metodo, ci si può chiedere quanto gli studenti siano disposti all’analisi e al dubbio, e quanto invece prediligano sintesi e comode certezze. Sotto il profilo del linguaggio, è lecito domandarsi fino a che punto il lessico necessariamente colto di una lezione sofisticata riesca a raggiungere i soggetti destinatari dei contenuti.
Il problema del linguaggio e della comunicazione del diritto, che travalica l’ambito della didattica universitaria, è ben presente nello scritto di Maurizio Falsone. Rispetto all’insegnamento del diritto, la risoluzione del problema della comunicazione è posta a carico sia del docente, sia degli studenti. Nell’esperienza narrata, il docente cerca l’adattamento del linguaggio, rendendo possibile la reciproca comprensione, e nel contempo evita lo svilimento della materia, quand’anche quest’ultima debba essere insegnata in un corso di Innovation and marketing. Ma nello scritto c’è di più: oltre il linguaggio, l’adattamento riguarda anche il metodo e gli strumenti della didattica e, infine, i contenuti. Agli studenti è richiesto un onere di collaborazione: solo lo scambio di competenze rende possibile trovare un terreno comune di comprensione.
Il problema della didattica in ambito formativo extragiuridico è al centro del contributo di Emanuele Dagnino. L’autore segnala l’esigenza di proporre una didattica non esclusivamente schiacciata sull’ esigenza di professionalizzazione quando i fruitori si collochino in ambiti lontani da quello tradizionale: nell’ambito ingegneristico, informatico e della scienza dell’educazione. L’espansione dell’insegnamento del diritto del lavoro in tali contesti ha una valenza che oltrepassa il mero profilo professinalizzante. Se è vero che le più rilevanti dinamiche della società, dell’economia, della tecnologia, si svolgono attualmente in ambiti in cui operatori e decisori tendono ad agire in assenza di cultura giuridica, diviene cruciale incidere sulle dinamiche stesse attraverso una didattica che adatti i linguaggi del diritto e riprogetti i suoi contenuti.
Anche il contributo di Annamaria Donini riguarda i contenuti della didattica. L’apertura di credito verso lo studente qui si spinge sino a ipotizzare forme di compartecipazione nella determinazione del programma d’esame, nonché la co progettazione di spazi di didattica svolti sotto la responsabilità degli studenti e guidati dal docente. Può sembrare una proposta deresponsabilizzante per il docente o spericolata, se non adeguatamente monitorata, o ancora ispirata da retoriche un po’ fruste sulla partecipazione democratica al sapere. In realtà l’autrice intravvede in questa sperimentazione la possibilità di sollecitare la formazione negli studenti di una coscienza del loro ruolo di cittadini consapevoli e dotati dello spirito critico necessario per “leggere” la società e di farvi parte attivamente. Il diritto del lavoro, in ragione delle sue caratteristiche, viene eletto a luogo ideale per tale sperimentazione.