Francesca Marinelli
Professoressa associata di Diritto del lavoro, Università degli Studi di Milano Statale
12 marzo 2024
Recensire all’interno della nostra Rubrica questo libro in cui Pierre Bayard (psicanalista e professore di letteratura francese all’Università di Parigi VIII) ha il coraggio di riflettere sull’importanza del non leggere potrebbe sembrare una provocazione e, invece, non lo è.
Il perchè è presto detto: Bayard ci dimostra che se leggere un libro è senz’altro un atto di intelligenza, anche il non farlo, o farlo solo in parte, può essere (metodologicamente) importante.
Due ne sono le ragioni.
Per prima cosa, Bayard riflette sul fatto che i libri che ci sono realmente sconosciuti non sono quelli che non abbiamo mai letto quanto, piuttosto, quelli che non sono mai entrati nel nostro ambito percettivo e questo perché la cultura è soprattutto una questione di orientamento. Ne deriva che, più che il libro in sé per sé, conta la sua relazione con tutti gli altri libri che conosciamo e che formano la nostra “biblioteca interiore”. Ecco perché lo sconfinato numero di titoli che affolla il mondo dell’editoria non deve scoraggiarci: per potere parlare di un libro, infatti, basta averlo sfogliato o aver ascoltato o letto qualcuno che ne parlava o, comunque, conoscerne quanto meno l’esistenza.
In secondo luogo, Bayard ricorda come già Oscar Wilde a fine ‘800 ritenesse una necessità fondamentale, “in una epoca in cui si legge e si scrive così tanto da non avere il tempo né di ammirare né di riflettere”, scegliere (con cura) i libri da non leggere (azione ben diversa, come detto, dal non conoscere).
Non vi è chi non veda come un tale suggerimento appaia fondamentale per orientarci nell’attuale periodo storico in cui, grazie all’intelligenza artificiale che consente di creare libri in pochi secondi, sembra finito, e per sempre, il tempo in cui – come sottolinea il giornalista Alard von Kittlitz – tutti i libri meritavano almeno l’attenzione di un lettore: il proprio autore.